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Ricerca, consapevolezza del campo, coscienza: dall’ermeneutica, all’estetica, al campo

I Quaderni si raccontano: 2017-1. Nuova pubblicazione 

Il numero 2017-1 dei Quaderni di Gestalt segna dei passaggi importanti per la Rivista e per l’Istituto. Il primo riguarda la decisione di non fare un numero monotematico. Gli avvenimenti nel primo semestre di quest’anno sono stati diversi, e abbiamo preferito testimoniarli nella loro diversità. Un primo avvenimento è il Convegno della FISIG, svoltosi a Catania dal 27 al 30 aprile 2017, che ha visto un movimento di tutta la Federazione delle Scuole italiane di psicoterapia della Gestalt verso la ricerca: le quindici scuole confederate hanno accolto questo tema (che oggi attraversa in modo significativo tutte le psicoterapie) come uno stimolo per la riflessione sulla possibilità di fare ricerca senza snaturare il nostro essere gestaltici, con il supporto di importanti lavori internazionali.

Ma prima ancora che un convegno incentrato sulla ricerca, questo evento è stato un movimento di tutte le scuole – uno studio congiunto e una condivisione di un clima disteso e collaborativo. Con tutto il gruppo dei direttori della FISIG e con alcuni didatti ci siamo impegnati nello studio critico delle Scale di Fedeltà elaborate da Madeleine Fogarty, la ricercatrice australiana che è stata anche l’ospite d’onore del convegno. Pur consapevoli dell’importanza di questo lavoro di definizione condivisa di “cosa fa un terapeuta della Gestalt”, abbiamo potuto esprimere le nostre perplessità e anche i nostri apprezzamenti per l’uso di queste scale sia nella didattica che nella supervisione.

Abbiamo studiato per un anno nei nostri incontri FISIG, a volte con la presenza virtuale della stessa Fogarty, criticando alcuni aspetti e apprezzandone altri, ma sempre rispettandoci a vicenda, comprendendo gli uni le motivazioni dell’altro. Questo ha consentito lo sviluppo di un clima collaborativo che continua ad animare le nostre riunioni.

È con piacere dunque che i Quaderni di Gestalt dedicano ben due sezioni di questo numero a quel convegno: la sezione Dialoghi, che ospita una mia intervista a Madeleine Fogarty (“Epistemologia, ricerca e clinica in psicoterapia della Gestalt”), e la sezione Studi e modelli applicativi, che ospita la versione italiana dell’articolo sulla Gestalt Therapy Fidelity Scale (GTFS) della Fogarty, “Che cosa fanno i terapeuti della Gestalt nella pratica clinica? Il consenso degli esperti”. La GTFS è stata costruita attraverso il metodo “Delphi” e si è avvalsa del contributo di un gruppo internazionale di terapeuti esperti delle principali correnti di psicoterapia della Gestalt, chiamati a esprimersi, nelle diverse tappe della stesura della Scala, sulle varie dimensioni proposte come peculiari del modello.

Da questo tentativo, necessario e del tutto nuovo nel nostro mondo, nasce la GTFS, una scala di fedeltà che misura il grado di adesione e di coerenza del terapeuta al modello della psicoterapia della Gestalt. Come emerge nel corso dell’intervista, la GTFS si rivela un prezioso strumento ermeneutico nell’ambito della supervisione e della didattica, costituendo per i didatti e per gli allievi non solo uno strumento di formazione clinica, ma anche di confronto continuo per sviluppare un senso di radicamento e di appartenenza. Infine, la GTFS fornisce la possibilità di irrobustire la validità scientifica delle ricerche condotte in ambito gestaltico, in quanto rappresenta una “prova” della coerenza del modello e di chi lo pratica.

Con l’emozione di ritrovarmi in un campo condiviso e di rappresentare questa realtà in qualità di presidente, ringrazio Madeleine e i colleghi della FISIG, con cui abbiamo realizzato un bel momento della Gestalt italiana.

Un secondo passaggio importante di cui questo numero dà contezza è lo sviluppo nel nostro Istituto del concetto di consapevolezza in chiave estetica e di campo. Gli incontri annuali dei didatti e dei collaboratori del nostro Istituto (siamo circa 90 ormai), come pure le riunioni locali delle tre sedi di Milano, Palermo e Siracusa, mi hanno consentito di mettere a fuoco un concetto su cui lavoravo da tempo, la conoscenza relazionale estetica (CRE), come la competenza del terapeuta della Gestalt che include il proprio sentire nel campo – nei suoi aspetti empatici e di risonanza.

Il concetto sviluppa in chiave fenomenologica ed estetica la partecipazione del terapeuta/ambiente alla percezione e al cambiamento del paziente. È presentato nel primo articolo della sezione Relazioni, “La conoscenza relazionale estetica del campo. Per uno sviluppo del concetto di consapevolezza in psicoterapia della Gestalt e nella clinica contemporanea”, con una introduzione sui nuovi disturbi psicopatologici, che spiega l’importanza di questo strumento nella clinica attuale.

A seguire, un articolo di Dan Bloom, “Il continuum consapevolezza-coscienza e l’ambiente come mondo-della-vita. La terapia della Gestalt compie una nuova svolta fenomenologica”, colloca i concetti di consapevolezza e coscienza nella prospettiva fenomenologica, a partire dal testo fondante di Perls, Hefferline e Goodman. L’autore newyorkese fa una stimolante analisi dei due concetti e delle ragioni teoriche che portarono i fondatori a usare un nuovo termine, quello di consapevolezza, distinguendolo dalla coscienza. Egli esprime anche la necessità di rivalutare il concetto di coscienza.

Nella sezione La Gestalt in azione, la trascrizione di una seduta da me condotta e commentata da Teresa Borino, “La fenomenologia del contatto in una seduta”, vuole essere un esempio di come l’approccio fenomenologico, attraverso il riconoscimento dell’intenzionalità di contatto della paziente, non spingendo verso movimenti né soluzioni, ma semplicemente stando con ciò che è, possa portare ad un cambiamento percettivo dei propri schemi relazionali.

Per la sezione Storia e identità, Bernd Bocian presenta un articolo di Serge Ginger su Sándor Ferenczi e la terapia della Gestalt, “Sándor Ferenczi: allargare i confini della psicoanalisi… e preparare il terreno per la terapia della Gestalt”. Nel 2018, ad aprile, ci sarà a Firenze un convegno internazionale su colui che viene qui definito come il “nonno” della terapia della Gestalt. Ci sembra appropriato dunque pubblicare le riflessioni del collega francese scomparso su un autore importante per la nostra identità.

Per la sezione Congressi, Fabiola Maggio e Marilena Senatore ci raccontano il convegno di studio con Miriam Taylor “Terapia del trauma, corpo, neuroscienze e Gestalt”, svoltosi a Palermo il 3 e 4 febbraio 2017.

Per la sezione Recensioni, pubblichiamo due contributi scritti da colleghi internazionali per la nostra Rivista. Il collega del New York Institute for Gestalt Therapy, Kenneth Meyer, ci racconta la sua esperienza del recentissimo libro Advances in Contemporary Psychoanalytic Field Theory. Concept and Future Development, curato da Katz S.M., Cassorla R., Civitarese G., preannunciando così il dibattito che si svolgerà al convegno sul campo in psicoterapia della Gestalt e in psicoanalisi, il 16 novembre a Milano.

Inoltre, il collega australiano Alan Meara, direttore della rivista australiana GANZ, recensisce il recente libro curato da Jean-Marie Robine Self. A Polyphony of Contemporary Gestalt Therapists, di prossima pubblicazione in italiano nella collana della FrancoAngeli.

Chiude il numero un ricordo della collega del New York Institute for Gestalt Therapy recentemente scomparsa, scritto dall’amico Dan Bloom: “Parliamo di Karen. Per continuare il processo di chiarificazione e riaffermazione della psicoterapia della Gestalt. Un elogio per Karen Humphrey (1941-2017)”.

Questo numero esprime dunque molti aspetti della vita del nostro Istituto e dei suoi collegamenti internazionali.

Ma c’è un altro passaggio importante: da questo numero Teresa Borino, che ha collaborato con la Rivista come coordinatrice editoriale per 7 anni, dal 2009 al 2016, lascerà il posto a Maria Luisa Grech. Teresa, una didatta importante della sede di Palermo, ha guidato la Rivista in un momento in cui c’era bisogno che esprimesse sia la coesione e la novità del modello dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, sia il dialogo e il confronto con la comunità scientifica e psicoterapica. La ringrazio per avere messo a disposizione della Rivista la sua sapienza teorica e la conoscenza profonda degli sviluppi ultimi dell’Istituto. Occuparsi di una Rivista come la nostra è un sacrificio enorme nella vita di uno psicoterapeuta, è un atto di amore verso il modello e di generosità verso i colleghi e gli autori. Grazie Teresa per averci fatto crescere sotto il tuo occhio attento.

Do il benvenuto a Maria Luisa, psichiatra psicoterapeuta della Gestalt, didatta in formazione presso la sede di Milano, con la sua chiarezza e competenza professionale, guiderà la rivista verso altre sfide.

Vi auguro quindi una buona lettura!

Margherita Spagnuolo Lobb
Giugno 2017

Quaderni di Gestalt, Vol XXX, 2017-1
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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vieni a conoscere la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia 

Daniel Stern: possibilità inesausta di confronto e dialogo

I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2013-2

Questo numero dei Quaderni di Gestalt è dedicato ad un grande maestro e amico scomparso nel novembre 2012, Daniel Stern. Con lui l’Istituto di Gestalt HCC ha intessuto nove anni di dialogo fecondo, grazie alle sue docenze presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia, alla sua disponibilità al confronto, all’apertura verso linguaggi diversi. La sua vicinanza ci ha spronati a crescere e a trovare modi sempre più fenomenologici di descrivere ciò che facciamo.

Al di là del dialogo con gli psicoterapeuti della Gestalt, Stern ha rappresentato, per il mondo della psicologia evolutiva e della psicoterapia in genere, la nascita di qualcosa che fa una differenza nella storia: uno sguardo che integra molte delle prospettive emerse negli ultimi decenni in una Gestalt armonica, una proposta teorica destinata a generare significativi sviluppi in diversi ambiti, non solo nella psicoterapia e nella psicologia ma anche nell’arte e negli approcci che hanno a che fare con il movimento corporeo.

Per quanto ci riguarda, le ricerche e gli studi di Daniel Stern hanno consentito al nostro Istituto di riformulare concetti fondamentali della teoria della psicoterapia della Gestalt, e di sviluppare aspetti teorici e clinici importanti, come la prospettiva evolutiva e la co-creazione dell’incontro terapeutico.

Nel pensare questo numero a lui dedicato, da uno sfondo di gratitudine e di affetto, ci siamo chiesti quali domande animerebbero ancora il nostro dialogo con lui. Per esempio, considerando il tentativo di Stern di applicare i risultati della infant research alla terapia degli adulti, come possiamo definire il suo specifico contributo alla psicoterapia odierna?


Stern considera l’esperienza del “momento presente” come il cuore del pro
cesso terapeutico e focalizza la sua attenzione sugli aspetti fenomenologici ed estetici della relazione terapeutica. In quale epistemologia possiamo collocare questo contributo alla psicoanalisi certamente innovativo?

Se i now moment sono imprevedibili, e se ciò che il terapeuta fa quando questi momenti cruciali si presentano dipende dalla sua capacità di stare nella relazione, da ciò che lui “è” piuttosto che da ciò che “sa”, quali risvolti immaginiamo per l’insegnamento della psicoterapia?

Secondo i fondatori della psicoterapia della Gestalt, quando l’individuo vive l’esperienza in maniera piena e spontanea, sperimenta, proprio da questa totalità percepita dell’incontro con l’altro, la nascita del sé, i confini della propria individualità. Stern contesta l’esistenza di una prima fase autistica nello sviluppo psicologico del bambino, che già alla nascita, a suo avviso, è capace di entrare in relazione con la madre. Possiamo affermare, allora, che lo sviluppo psicologico non consiste nel riuscire a separarsi e individuarsi, bensì nel diventare sempre più capaci di relazionarsi, o, in altri termini, nel diventare sempre più capaci di sperimentarsi come un sé nell’incontro co-creato?

Queste domande emergono dalle idee, ricche di futuro, che Daniel Stern ci ha donato, ma anche dagli scambi con colleghi con cui ci ha messo in contatto, e con cui è possibile svilupparle. Questo numero è stato costruito attraverso il ricordo di suoi amici italiani, e la testimonianza di terapeuti della Gestalt che lo hanno conosciuto personalmente. Nei loro contributi è possibile rintracciare alcune delle risposte alle domande da noi formulate.

Apre il numero una breve ma significativa testimonianza della moglie, Nadia Bruschweiler Stern, le cui parole, pronunciate alla fine del convegno organizzato a Roma dal professor Massimo Ammaniti, danno la cornice di senso a tutto ciò che si può dire o scrivere su Stern.

Nella sezione Dialoghi, abbiamo il piacere di ospitare le testimonianze di quattro suoi colleghi italiani, che gli sono stati particolarmente vicini: Massimo Ammaniti, Nino Dazzi, Graziella Fava Vizziello e Vittorio Gallese. Sollecitati dalle mie domande, raccontano come hanno conosciuto Stern e l’influsso che egli ha avuto sul loro pensiero e sul loro impegno professionale.

Chiude la sezione il contributo di Angela Maria Di Vita sulla clinica del materno. L’autrice, per anni garante della nostra Scuola, nel 2006 ha promosso il conferimento al professor Stern della laurea ad honorem in Psicologia clinica dello sviluppo, presso l’ateneo palermitano. Anche se non pubblicato in forma editoriale di dialogo, questo contributo testimonia uno degli scambi scientifici che l’Istituto ha instaurato con docenti accademici in occasione delle visite di Stern presso il nostro Istituto.

Nella stessa sezione, un mio articolo sul contributo di Daniel Stern alla psicoterapia della Gestalt sviluppa i punti di incontro e le differenze tra il pensiero dello psicoanalista intersoggettivo e l’epistemologia gestaltica, così come li ho intesi negli anni dei nostri incontri, densi di sviluppi sia nelle sue teorie che nel nostro Istituto.

Daniel Stern ci ha lasciato un’eredità immensa da condividere e sviluppare tra tutti noi innamorati della vitalità umana.

È anche grazie a lui che ci ritroviamo fratelli tra psicoterapeuti di approcci diversi: sia nei convegni che nella letteratura, in molti, pur appartenendo a epistemologie diverse, ci riferiamo agli stessi passaggi teorici di Stern, condividendoli profondamente, come una conferma a ciò in cui crediamo e alla possibilità di dialogare.

Il suo linguaggio ci ha uniti. E sapere questo sicuramente gli avrebbe fatto piacere. Inoltre, il suo sorriso e la sua curiosità intellettiva sono stati un connubio di amore e novità che resterà per sempre nella nostra anima.


Margherita Spagnuolo Lobb

Quaderni di Gestalt, Volume XXVI, 2013-2, Il pensiero di Daniel Stern e la psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 5

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vissuti sessuali

Psicopatologia in psicoterapia della Gestalt: fenomenologia ed estetica del contatto

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2014 -2 

L’interesse per la psicopatologia, che da qualche anno attraversa la riflessione teorica e metodologica del nostro Istituto, prende le mosse dal bisogno degli psicoterapeuti della Gestalt di guardare alle nuove evidenze cliniche con una mappa gestaltica che sia in linea con gli sviluppi delle ricerche e degli studi più attuali. Questa riflessione ha prodotto alcuni volumi originali, come pure articoli e capitoli, tradotti in inglese e in varie lingue, che hanno nutrito la comunità gestaltica internazionale, desiderosa di avere strumenti di lettura e intervento sulle nuove sofferenze relazionali coerenti con l’anima gestaltica.

Sono nati così i training internazionali Gestalt Therapy Approach to Psychopathology and Contemporary Disturbances, svolti in Italia e condotti in lingua inglese (a cui si è aggiunta un’edizione in lingua spagnola), che, arrivati ormai alla loro terza edizione, continuano ad attrarre colleghi da tutto il mondo. A testimoniare l’interesse di psicoterapeuti non solo gestaltici per questo modello di psicopatologia e pratica clinica è la partecipazione al Master in Psicopatologia Gestaltica e Fenomenologica, in lingua italiana, da parte di colleghi di diversi orientamenti.

Questo numero dei Quaderni di Gestalt è stato dedicato al tema della psicopatologia gestaltica per supportare, attraverso il dialogo e approfondimenti specifici, la riedizione di concetti basilari in linea con l’evoluzione culturale e clinica. Fare sentire la voce gestaltica, con tutta la sua originalità e profondità, nel mondo della psicopatologia è un’avventura appassionante, come ormai diversi convegni organizzati dall’Istituto hanno dimostrato.

Il modello di psicopatologia gestaltica si collega fondamentalmente a due matrici contemporanee molto stimolanti: la svolta relazionale che da qualche anno ormai sta attraversando il mondo dell’infant research, della psicoanalisi e delle neuroscienze e la fenomenologia psichiatrica.

La scoperta dei neuroni specchio e i suoi risvolti clinici (Gallese, 2007), la rilettura delle relazioni primarie operata dall’infant research, la teoria di Daniel Stern (2010), in particolare il suo sviluppo ultimo circa le forme dinamiche dell’esperienza vitale, la svolta relazionale operata in psicoanalisi da Stephen Mitchell, l’accento posto sulla alterità da Donna Orange, rieditano concetti per noi familiari: il processo più che il contenuto, le forme percettive, la dinamica figura-sfondo, il sostegno all’intenzionalità, il lasciarsi orientare dall’estetica del contatto. Questi concetti ci portano a cogliere la sofferenza che accade al confine di contatto in termini di sostegno all’intenzionalità e di adattamento creativo.

La fenomenologia psichiatrica e la neofenomenologia ci portano ad apprezzare il sentire del terapeuta, oltre che del paziente, collocandolo in un campo fenomenologico in cui la sua presenza, seppur situazionata e contestuale, è determinante nella diagnosi e nella terapia.

Queste due correnti di ricerca ci sostengono nel guardare alla psicopatologia gestaltica come ad una sofferenza del confine, del “tra”, alla psicodiagnosi come ad uno sguardo situazionato sull’attualizzarsi di una sofferenza che è sempre relazionale, alla psicoterapia come ad un’occasione per riconoscere la bellezza che ogni sofferenza cela, con il suo sacrificare una propria spontaneità per risolvere situazioni difficili. Da questo sfondo emerge uno sguardo originale sulla sofferenza che trascende la psicopatologia classica, sia psicodinamica che fenomenologica: l’evento clinico diventa espressione di un campo co-creato che il terapeuta coglie allo stato nascente attraverso la propria competenza estetica e modula attraverso la propria presenza.

Il presente numero raccoglie alcune testimonianze originali del modello di psicopatologia del nostro Istituto.

Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2015 2 in breve.

Questo numero dei Quaderni di Gestalt ruota intorno ai concetti di sé e di campo, rivisitati in chiave ermeneutica. L’occasione è stata data dagli studi e dalle riflessioni compiute nel nostro Istituto in questi ultimi due anni per aggiornare e sviluppare i principi originari alla luce delle nuove teorie epigenetiche, neuroscientifiche, e dello sviluppo. La peculiarità del nostro approccio viene così messa in luce e declinata secondo i nuovi bisogni sociali e le nuove evidenze cliniche. La sfida epistemologica ed estetica, che impose agli autori del testo fondante di creare una teoria che cogliesse la spontaneità della vita (e non la devitalizzasse in nome di una rigidità teorica) si confronta oggi con le nuove condizioni sociali di desensibilizzazione corporea ed emozionale. Come deve essere oggi una teoria capace di stare con la vita e con la creatività che le è propria? che sia di aiuto reale per lo psicoterapeuta al fine di sostenere la vitalità e non la conoscenza razionale di sé del paziente? che non corra il rischio dell’egotismo, critica da cui partirono i fondatori per superare alcuni limiti della psicoanalisi del tempo?

L’incipit del numero, dunque, con la sezione Dialoghi, è un’intervista a Jean-Marie Robine, che ha recentemente curato un libro in cui un nutrito gruppo di teorici della psicoterapia della Gestalt espongono la loro idea attuale sul sé, concetto chiave per ogni modello psicoterapeutico. Maria Mione pone al collega francese domande su “Il campo e la situazione, il self e l’atto sociale essenziale”, mettendo in evidenza i concetti fondamentali che l’autore ha approfondito nei suoi scritti e le eventuali differenze con il modello del nostro Istituto. Alla fine dell’intervista, Piero Cavaleri, Gianni Francesetti e la sottoscritta espongono i loro commenti sul concetto di campo. “Credo che la prima cosa che un paziente vorrebbe trovare presso il suo terapeuta, è il riconoscimento”. Queste parole di Robine sembrano accomunare gran parte degli psicoterapeuti contemporanei (ripresi da Cavaleri nel libro di cui parleremo più avanti), così come i teorici del cambiamento e dello sviluppo e i neuroscienziati.

Nella sezione Relazioni, troviamo tre contributi sul sé. Il mio, dal titolo “Il sé come contatto. Il contatto come sé. Un contributo all’esperienza dello sfondo secondo la teoria del sé della psicoterapia della Gestalt”, rappresenta un’evoluzione dei miei studi sul sé verso la considerazione dell’esperienza dello sfondo, così importante oggi nella nostra società, in cui manca proprio la sicurezza del ground. Questa riflessione mi ha consentito di integrare nel concetto unitario del self la prospettiva evolutiva (già presentata nei Quaderni di Gestalt n. 2012-2) e un nuovo concetto di psicopatologia basato sull’esperienza dello sfondo.

(…)

Margherita Spagnuolo Lobb 

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-2, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2015/1 in breve.

“Davanti alla grandiosità del terapeuta, il paziente o l’allievo non possono far altro che crogiolarsi.”
Gary Yontef

La scelta di pubblicare un secondo volume sulla psicopatologia nasce dal desiderio di trasmettere ai nostri lettori l’ampio patrimonio di studi, ricerche e strumenti didattici sulla clinica gestaltica, orientata da una prospettiva di campo, a cui l’Istituto di Gestalt HCC Italy ha contribuito in maniera significativa ormai da un decennio (il primo libro sugli attacchi di panico a cura di Gianni Francesetti è del 2005!). La frase in epigrafe segna il fil rouge che unisce lo spirito di questi studi e degli articoli di questo numero: la reciprocità e relazionalità dell’incontro terapeutico. Scommettendosi nella mutevolezza e nel rischio del campo fenomenologico condiviso, il terapeuta declina nel qui e ora dell’incontro terapeutico l’umiltà dell’essere-con.

In questo numero troviamo quattro Relazioni, tutti contributi nuovi, che tracciano il confine in evoluzione dei nostri studi. L’articolo di Miriam Taylor “Uno sfondo sicuro: utilizzo dell’approccio sensomotorio nel trauma” chiarisce in modo inequivocabile il tipo di trattamento necessario per il DPTS, sottolineando come esso debba essere diverso dal classico intervento gestaltico basato sulla teoria paradossale del cambiamento di Beisser, e come debba invece prendere in considerazione la strutturazione neurologica degli schemi percettivi traumatici. Il libro dell’autrice su questo argomento, Trauma Therapy and Clinical Practice. (…)

Segue un contributo di Margherita Spagnuolo Lobb e di Valeria Rubino su “Le esperienze dissociative in psicoterapia della Gestalt”: partendo dalle descrizioni del DSM 5, la autrici presentano casi clinici focalizzando la peculiarità di un intervento gestaltico che nasca dall’evoluzione della teoria paradossale del cambiamento.

Antonio Narzisi e Rosy Muccio seguono con un contributo che integra recenti ricerche sull’autismo con la prospettiva gestaltica, “Autismo e psicoterapia della Gestalt: un ponte dialogico possibile”. La sintomatologia autistica può essere ascritta alla mancanza di modulazione sensoriale e alla difficoltà di pianificazione motoria. In un’ottica esperienziale, il terapeuta della Gestalt si chiede come il bambino autistico usi la propria visione, come senta il corpo, come gestisca il proprio equilibrio. Considerando la co-creazione del contatto tra bambino autistico e caregiver, l’intervento deve sostenere l’intenzionalità di entrambi affinché si raggiungano con una adeguata competenza sull’altro.

Giancarlo Pintus in “Processi neurobiologici e competenza al contatto nell’esperienza addictive” affronta l’esperienza di dipendenza presentando i processi neurobiologici che la sostengono, e iscrivendola nel quadro di riferimento delle esperienze traumatiche. Inoltre sottolinea l’importanza di tenere in considerazione in terapia l’attaccamento e il riconoscimento relazionale.

Per la Gestalt in Azione, una seduta gestaltica condotta durante un seminario per studenti universitari viene commentata da uno psicoanalista e da un gestaltista. “L’arte del prendersi cura: il modello della psicoterapia della Gestalt in dialogo. Simulata di una seduta dal vivo” è il titolo di questo lavoro clinico curato da Teresa Borino, che ospita i contributi di Adriano Schimmenti e di Pietro A. Cavaleri, per una seduta condotta da Margherita Spagnuolo Lobb.

Nella sezione Studi e Modelli Applicativi, curata da Aluette Merenda, Serena Iacono Isidoro con “La ‘sindrome del cuore infranto’: un’indagine preliminare sull’isomorfismo psicofisico” sintetizza la sua tesi di specializzazione: si tratta di un primo studio sul rapporto isomorfico tra stress nel contatto con l’ambiente e stress cardiaco, che prende in esame gli stili percettivi di pazienti con sindrome cardiaca acuta indotta dallo stress, chiamata di “tako-tsubo”.

Nella stessa sezione, Jan Roubal e Tomas Rihacek presentano “I vissuti del terapeuta con i pazienti depressi”, uno studio sui sentimenti di attunement e di distanziamento dei terapeuti di pazienti affetti da depressione. Lo studio apre ad una comprensione dell’autoregolazione di questa relazione e dei benefici della sintonizzazione affettiva nella cura.

Per la sezione Storia e Identità, Bernd Bocian ha scelto l’articolo di Gary Yontef “L’atteggiamento relazionale nella teoria e nella pratica della terapia della Gestalt”, pubblicato nel 1998, da cui ha avuto origine uno sviluppo del nostro modello in linea con l’anima relazionale del testo di Perls, Hefferline e Goodman, Gestalt Therapy, a cui il nostro Istituto ha partecipato attivamente sin dall’inizio, grazie agli insegnamenti di Isadore From, con contributi consi- derati basilari nella letteratura internazionale1.

Nella sezione Congressi Silvia Tinaglia, Serena Iacono Isidoro e Milena Dell’Aquila ci raccontano il convegno su “Fenomenologia delle relazioni intime e della violenza”, che il 20 febbraio 2015 ha inaugurato il master universitario omonimo istituito dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e organizzato a Palermo dall’Istituto di Gestalt HCC Italy.

Sebastiano Messina ci racconta inoltre il tradizionale convegno che il nostro Istituto organizza a Siracusa in occasione delle recite classiche al Teatro Greco, che quest’anno ha affrontato il tema “Flussi migratori tra clinica e società. Metamorfosi culturale, conflitto e bisogno di radicamento”.

Infine, nel grande fermento letterario che in questi anni attraversa la psicoterapia della Gestalt, sia italiana che estera, Dan Bloom e Gianni Francesetti hanno scelto di recensire due libri: Gestalt Therapy di Wheeler e Axelsson (2014) e Le nuove arti terapie. Percorsi nella relazione d’aiuto di Acocella e Rossi. La prima recensione è a firma di Jean-Marie Robine, la seconda di Michele Cannavò.

Nel consegnarvi questo nuovo numero dei Quaderni di Gestalt, sentiamo l’orgoglio di una fatica produttiva e l’attesa di un dialogo inesausto con i nostri lettori.

Margherita Spagnuolo Lobb

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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La psicoterapia della Gestalt con i gruppi

In linea con una visione che amplia lo sguardo dall’individuo al campo organismo/ambiente, la psicoterapia della Gestalt afferma l’unicità e l’autonomia del processo di gruppo rispetto all’individuo.
È interessante notare come, nello stesso periodo in cui nasceva la psicoterapia della Gestalt, Bion (1952), per esempio, considerava il gruppo come un apparato psichico a sé, con una propria mentalità e una propria cultura; vedeva nello scopo di preservare il gruppo quasi una motivazione sovra-ordinata delle persone, e perfino il conflitto era per lui una tecnica che i membri adottano per preservare il gruppo (Bion, 1952, p. 63). Non possiamo non legare questo interesse degli studi psicoterapici verso i gruppi e la comunità sociale all’evoluzione di una cultura, quella occidentale, che a metà del secolo scorso voleva prendere le distanze da regimi autoritari e mentalità egoiche.
A differenza di altri studi sistemici o analitici, la psicoterapia della Gestalt si interessa del campo fenomenologico nel setting terapeutico. L’esperienza dei soggetti coinvolti è il focus del nostro studio, laddove esperienza per noi vuol dire presenza ai sensi, globalità dell’esserci in una data situazione. Se questo processo è stato considerato in psicoterapia della Gestalt per quanto riguarda l’esperienza degli individui in gruppo, non c’è stata ancora una riflessione approfondita e sufficientemente condivisa sull’ottica fenomenologica del processo di gruppo.
Questo numero dei Quaderni di Gestalt ha il duplice scopo di dialogare con alcuni esponenti non gestaltici sulla clinica contemporanea dei gruppi, e di fare un punto sulla clinica gestaltica dei gruppi.
Sono contenuti una serie di dialoghi inediti: Teresa Borino coordinatrice editoriale della rivista, e Giuseppe Craparo, docente universitario, psicodrammatista, intervistano tre rappresentanti di altrettanti modelli: Calogero Lo Piccolo (gruppoanalista), Giovanni Lo Castro (psicodrammatista e lacaniano) e Margherita Spagnuolo Lobb (gestaltista), sulla definizione, la valenza terapeutica e l’uso del corpo nel setting gruppale. Dalle loro risposte emergono differenze epistemologiche e condivisioni cliniche ed etiche, utilissime per chi vuole fare un confronto tra pratiche gruppali diverse.

Margherita Spagnuolo Lobb

Quaderni di Gestalt, volume XXV, 2012/1, La psicoterapia della Gestalt con i gruppi
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli
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LE ESPERIENZE DISSOCIATIVE

Nell’approccio gestaltico oltre a vedere le forme dissociative in un’ottica dimensionale, aggiungiamo una lettura relazionale che le colloca lungo un continuum che va dalla spontaneità del contatto (capacità di adattarsi nel contatto con l’ambiente senza perdere la flessibilità e la presenza, la consapevolezza) all’assenza di consapevolezza al confine, alla desensibilizzazione del sé-in-contatto provocata da processi ansiogeni.
Una peculiarità dell’ottica dimensionale della psicoterapia della Gestalt è lo sguardo alle dissociazioni come adattamento creativo del processo di contatto con l’ambiente. Esso consente di leggere l’esperienza dissociativa all’interno di un accadimento relazionale: “Mi dissocio con te”. Questa peculiare ottica colloca l’intervento gestaltico nella cornice di una necessaria relazionalità: il terapeuta deve innanzitutto fornire quel ground relazionale che consente al paziente di recuperare la spontaneità del processo di contatto rimasto per così dire “sospeso”.
Margherita Spagnuolo Lobb, Valeria Rubino
(da: QdG 2015/1 – La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt II parte)

PUBBLICAZIONE Quaderni di Gestalt 2015/1 VOL XXVIII LA PSICOPATOLOGIA IN PSICOTERAPIA DELLA GESTALT – II PARTE

Abbiamo il piacere di comunicarvi l’uscita del nuovo numero dei Quaderni di Gestalt, 2015/1 Vol XXVIII, anch’esso dedicato, come il precedente, al tema della psicopatologia in ambito gestaltico.
 
Davanti alla grandiosità del terapeuta,
il paziente o l’allievo non possono far altro che crogiolarsi.
Gary Yontef
«La scelta di pubblicare un secondo volume sulla psicopatologia nasce dal desiderio di trasmettere ai nostri lettori l’ampio patrimonio di studi, ricerche e strumenti didattici sulla clinica gestaltica, orientata da una prospettiva di campo, a cui l’Istituto di Gestalt HCC Italy ha contribuito in maniera significativa ormai da un decennio. La frase in epigrafe segna il fil rouge che unisce lo spirito di questi studi e degli articoli di questo numero: la reciprocità e relazionalità dell’incontro terapeutico. Scommettendosi nella mutevolezza e nel rischio del campo fenomenologico condiviso, il terapeuta declina nel qui e ora dell’incontro terapeutico l’umiltà dell’essere-con».
Dall’editoriale a cura di Margherita Spagnuolo Lobb e Teresa Borino

I quaderni raccontano: l’esperienza corporea nella clinica

L’esperienza corporea si costituisce […] attraverso la sensazione di essere riconosciuti e contenuti dall’altro e la sensazione di essere liberi di muoversi nel mondo.
Ai due sostegni fondamentali suddetti sono legate le varie forme di sofferenza dell’espressione corporea.
Senza le informazioni che la base sensoriale fornisce al confine di contatto, i significati che creiamo e le azioni che intraprendiamo sono scollegati dal nostro esser-ci e dall’intenzionalità di contatto. In questo caso l’esperienza corporea può prendere la forma dei disturbi d’ansia (includendo il disturbo di panico e il DPTS) o delle desensibilizzazioni (includendo le forme dissociative).
Quando manca la sensazione di libertà che permette e sostiene l’esplorazione, la sofferenza è legata alla mancanza di espressione del sé, dunque alla retroflessione ansiogena. […] Tutto ciò che non si completa si perpetua. In questo casa l’esperienza corporea può prendere la forma dei disturbi psicosomatici.
 

Margherita Spagnuolo Lobb, p.51, 2013.
(tratto da «Il corpo come “veicolo” del nostro essere nel mondo.
L’esperienza corporea in psicoterapia della Gestalt»,
Quaderni di Gestalt volume XXVI 2013/1)

Il Training Autogeno in psicoterapia della Gestalt. Rilassamento, consapevolezza, vitalità

L’allenamento del TA garantisce il recupero del ground corporeo dell’esperienza attraverso la somatizzazione, intesa come la possibilità di accesso all’area sensoriale del corpo tramite la percezione. I singoli esercizi possono essere paragonati ai gradini di una scalinata che conducono ad una sempre più in profonda e «intensa immedesimazione sensoriale nella propria corporeità» (Hoffmann, 1980, p.70). (…) Il percorso di apprendimento del TA è un affascinante viaggio verso la conoscenza del proprio corpo, un’esplorazione di parti desensibilizzate o poco conosciute attraverso vissuti e sensazioni che provengono dalla propriocezione, a mezzo di recettori posti nei muscoli, nelle giunture, nei tendini e nella profondità degli incavi e apparati interni.

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