training autogeno

Training Autogeno come strumento di contatto: un caso di dispareunia

– Giuseppe Sampognaro

Viene descritto il lavoro di coppia su un caso di dispareunia. Decisiva, in senso terapeutico, è stata l’applicazione del Training Autogeno, un metodo che – utilizzato in ottica gestaltica – facilita il contatto sia tra emozioni e sensazioni corporee, sia tra chi chiede e offre sostegno.

Una domanda che spesso mi viene rivolta è: «Ti occupi anche di terapia sessuale?».  Sono d’accordo con Nancy Amendt-Lyon quando afferma: «Non pratico la terapia sessuale come un metodo separato dalla terapia della Gestalt. Così come per tutti gli altri problemi relazionali, mi occupo di quelli sessuali nel loro contesto, con la convinzione che la sessualità passa attraverso pressoché ogni difficoltà o gioia che emerge in terapia» (2013, p. 587).  La psicoterapia della Gestalt è un modello olistico che propone un approccio trasversale a ogni situazione di disagio e «una mentalità terapeutica con cui essere presente al confine di contatto con il paziente (che) consente di evitare facili letture diagnostiche dell’altro» (Spagnuolo Lobb, 2011, 41).

Nel presente articolo riporto un caso di dispareunìa, trattato all’interno di un setting di coppia (cfr. Spagnuolo Lobb, 2008, 2011), il cui lavoro è stato orientato dai princìpi/guida gestaltici nella lettura del sintomo:
– attenzione al significato relazionale del sintomo;
– inquadramento del disturbo all’interno del momento esistenziale evolutivo della persona;

  • lettura del dinamismo figura/sfondo (ogni epifenomeno sottende una polarità complementare);
  • concezione estetica e processuale del fenomeno;
  • attenzione al campo situazionale all’interno del quale ogni accadere si manifesta. 


Inoltre, in questo specifico lavoro terapeutico ho proposto il Training Autogeno che, applicato con coerenza all’epistemologia e al metodo gestaltico, consente un’immediatezza di accesso all’esperienza corporea, o meglio all’esperienza del corpo-in-relazione (Borino, 2013, pp. 118-119).
Dal punto di vista dell’intervento terapeutico, l’obiettivo è stato sempre il medesimo, pur al variare delle circostanze e della forma che il disturbo assume, e cioè: ripristinare la spontaneità organismica al confine di contatto con l’ambiente (cfr. Spagnuolo Lobb, 2011).

 

Training Autogeno: co-creare il confine

Il senso di complicità e sicurezza reciproca che i partner sperimentano quando lavorano uno di fianco all’altra, non riescono a sentirlo nei momenti di intimità ritenuti “pericolosi”: rimangono polarizzati su “quanto siamo diversi”. Mi chiedo come posso facilitare in questa coppia l’integrazione tra desiderio e possibilità. Premessa alla possibilità di tentare il “salto nel vuoto relazionale” di cui parla Spagnuolo Lobb (cfr. 2011, cap. 7) è quel che c’è nel campo situazionale: il loro piacere per la dimensione salutista applicata al corpo la condivisione di competenze e abilità in relazione al fitness, loro territorio comune.

Penso all’opportunità di proporre il Training Autogeno (TA), che utilizzato in ottica gestaltica assume la valenza di un medium facilitatore del contatto e della consapevolezza corporea (cfr. Borino, 2013).  «Dato che entrambi siete consapevoli di vivere con un elevato livello di stress, che si ripercuote sui vostri momenti di intimità e lavorate con il corpo in palestra, ho pensato che potrebbe essere utile dedicare uno spazio della terapia all’apprendimento del TA. Si tratta di un metodo tra i più diffusi, anche in campo sportivo. Si basa sul principio per cui esiste un legame tra distensione muscolare e distensione psicologica» (e continuo a esporre i princìpi base del TA).

Serena e Bruno sembrano sinceramente interessati e incuriositi.

Dopo aver ricevuto il loro assenso, e aver spiegato i passaggi fondamentali di ciò che avverrà, li invito a posizionarsi comodamente sulle poltrone e inizio con l’induzione dello stato di calma per poi passare al primo esercizio: la pesantezza.

Dopo la fase della ripresa, li invito a scambiarsi le loro impressioni sull’esperienza appena vissuta. Serena: «Sono passata da una fase in cui ero agitata per la stranezza della situazione, a una in cui mi sono progressivamente rilassata. A un certo punto mi sembrava di galleggiare e ho sentito un formicolio al braccio destro». Bruno: «Io ho avuto difficoltà, non riuscivo a lasciarmi andare all’esercizio. Però la respirazione profonda e il ritmo della voce/guida mi hanno come ipnotizzato. No, non ho sentito pesantezza né formicolio alle braccia, però mi sono rilassato».

Si ritrovano uniti nel desiderio di apprendere la tecnica e nelle sedute successive insegno loro gli esercizi del ciclo inferiore del metodo di Schultz (1993). Sin dalla volta successiva, noto che qualcosa è accaduto. Riportano che hanno fatto gli esercizi in coppia, alternandosi alla guida delle formule.  Bruno (ha un viso più disteso del solito): «È stata una piacevole sorpresa. È la prima volta che tu segui quello che io ti dico senza ribattere e senza dirmi che ti do fastidio!» (ride, giocando sul doppio senso).  Serena: «Ed è la prima volta che non ti arrabbi e che rispetti i miei tempi senza fare l’offeso o la vittima» (ride).

Aggiungo: «È come se aveste scoperto un nuovo gioco che potete fare insieme».  Accolgono con entusiasmo la metafora del gioco che sembra coinvolgerli ed eccitarli sul doppio registro del prendersi cura di sé e del partner e del giocare a esplorare una dimensione nuova del loro stare assieme corporeo. Uno degli obiettivi fondamentali della psicoterapia della Gestalt nel lavoro con le coppie è ripristinare la capacità ludica come modalità di contatto fuori dai soliti schemi delle reciproche, drammatiche aspettative. «(…) il salto illogico del gioco, il lasciare momentaneamente irrisolto il problema per fare altro (…) ridendo perché così si guarda al futuro che può iniziare adesso» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 173).

Chiedo: «Ci sono margini di miglioramento nel vostro modo di eseguire insieme il TA?».

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-1, I vissuti sessuali in psicoterapia
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag. 74

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vissuti sessuali

Psicopatologia in psicoterapia della Gestalt: fenomenologia ed estetica del contatto

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2014 -2 

L’interesse per la psicopatologia, che da qualche anno attraversa la riflessione teorica e metodologica del nostro Istituto, prende le mosse dal bisogno degli psicoterapeuti della Gestalt di guardare alle nuove evidenze cliniche con una mappa gestaltica che sia in linea con gli sviluppi delle ricerche e degli studi più attuali. Questa riflessione ha prodotto alcuni volumi originali, come pure articoli e capitoli, tradotti in inglese e in varie lingue, che hanno nutrito la comunità gestaltica internazionale, desiderosa di avere strumenti di lettura e intervento sulle nuove sofferenze relazionali coerenti con l’anima gestaltica.

Sono nati così i training internazionali Gestalt Therapy Approach to Psychopathology and Contemporary Disturbances, svolti in Italia e condotti in lingua inglese (a cui si è aggiunta un’edizione in lingua spagnola), che, arrivati ormai alla loro terza edizione, continuano ad attrarre colleghi da tutto il mondo. A testimoniare l’interesse di psicoterapeuti non solo gestaltici per questo modello di psicopatologia e pratica clinica è la partecipazione al Master in Psicopatologia Gestaltica e Fenomenologica, in lingua italiana, da parte di colleghi di diversi orientamenti.

Questo numero dei Quaderni di Gestalt è stato dedicato al tema della psicopatologia gestaltica per supportare, attraverso il dialogo e approfondimenti specifici, la riedizione di concetti basilari in linea con l’evoluzione culturale e clinica. Fare sentire la voce gestaltica, con tutta la sua originalità e profondità, nel mondo della psicopatologia è un’avventura appassionante, come ormai diversi convegni organizzati dall’Istituto hanno dimostrato.

Il modello di psicopatologia gestaltica si collega fondamentalmente a due matrici contemporanee molto stimolanti: la svolta relazionale che da qualche anno ormai sta attraversando il mondo dell’infant research, della psicoanalisi e delle neuroscienze e la fenomenologia psichiatrica.

La scoperta dei neuroni specchio e i suoi risvolti clinici (Gallese, 2007), la rilettura delle relazioni primarie operata dall’infant research, la teoria di Daniel Stern (2010), in particolare il suo sviluppo ultimo circa le forme dinamiche dell’esperienza vitale, la svolta relazionale operata in psicoanalisi da Stephen Mitchell, l’accento posto sulla alterità da Donna Orange, rieditano concetti per noi familiari: il processo più che il contenuto, le forme percettive, la dinamica figura-sfondo, il sostegno all’intenzionalità, il lasciarsi orientare dall’estetica del contatto. Questi concetti ci portano a cogliere la sofferenza che accade al confine di contatto in termini di sostegno all’intenzionalità e di adattamento creativo.

La fenomenologia psichiatrica e la neofenomenologia ci portano ad apprezzare il sentire del terapeuta, oltre che del paziente, collocandolo in un campo fenomenologico in cui la sua presenza, seppur situazionata e contestuale, è determinante nella diagnosi e nella terapia.

Queste due correnti di ricerca ci sostengono nel guardare alla psicopatologia gestaltica come ad una sofferenza del confine, del “tra”, alla psicodiagnosi come ad uno sguardo situazionato sull’attualizzarsi di una sofferenza che è sempre relazionale, alla psicoterapia come ad un’occasione per riconoscere la bellezza che ogni sofferenza cela, con il suo sacrificare una propria spontaneità per risolvere situazioni difficili. Da questo sfondo emerge uno sguardo originale sulla sofferenza che trascende la psicopatologia classica, sia psicodinamica che fenomenologica: l’evento clinico diventa espressione di un campo co-creato che il terapeuta coglie allo stato nascente attraverso la propria competenza estetica e modula attraverso la propria presenza.

Il presente numero raccoglie alcune testimonianze originali del modello di psicopatologia del nostro Istituto.

Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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La Relazione secondo la PdG

Noi, l’altro e l’ambiente. Gli psicoterapeuti rispondono..
La psicoterapia della Gestalt (PdG) studia il qui e ora della relazione, definito come l’accadere, il rivelarsi dell’esperienza co-creata da organismo-e-ambiente-in-contatto. In PdG la relazione è definita come l’evolversi dei contatti tra un dato “organismo-animale-umano” e una parte del suo ambiente (umano o non umano).
Il termine “contatto” implica l’interesse per l’esperienza generata dalla concretezza dei sensi, e dunque per i valori estetici e processuali della relazione. Il confine di contatto è il luogo in cui si dispiega il sé e la fenomenologia dell’incontro, con le fasi del pre-contatto, contatto, contatto pieno e post-contatto, include sfondi (acquisizioni passate) e figure (determinazioni attuali protese al futuro).
L’aggressività, in quanto forza spontanea destrutturante di sopravvivenza, sostiene l’esperienza di andare verso l’altro, e l’adattamento creativo consente all’individuo di differenziarsi dal contesto sociale, ma anche di esserne pienamente e significativamente parte.

La relazione terapeutica: l’esserci-con del terapeuta e del paziente creano un campo esperienziale in cui l’evolversi spontaneo (non ansioso) del sé al confine di contatto è possibile e l’intenzionalità insita nella richiesta di cura del paziente può attuarsi.

M. Spagnuolo Lobb e P.A. Cavaleri

Definizione tratta da GestaltPedia, l’enciclopedia della Gestalt

IL LUOGO DEL CONTATTO

Il contatto si forma nel luogo in cui l’io e il tu arrivano ad una nuova verità, una momentanea configurazione armonica che immediatamente lascia il posto ad altre figure. L’abilità di stare nell’inafferrabile equilibrio del momento e di sperimentare l’incertezza della momentanea verità della relazione è una qualità tipica del terapeuta della Gestalt.
Il metodo gestaltico lascia che le cose accadano, una creazione sempre nuova di soluzioni adeguate nel qui ed ora della situazione terapeutica, a condizione che il sé di ogni individuo sia presente al confine di contatto.

Margherita Spagnuolo Lobb

CONTATTO E CAMPO RELAZIONALE

Nel contatto l’organismo si muove verso l’ambiente a partire da un proprio bisogno, coglie e assimila dall’ambiente qualcosa di nuovo e realizza il cambiamento e la crescita. […]
Il concetto di contatto non fa riferimento alla reciprocità dello scambio tra due entità separate (Robine, 2006). Organismo e ambiente costituiscono insieme una totalità indivisibile, definita dagli autori di Teoria e pratica della terapia della Gestalt “campo organismo/ambiente”. Il campo non consiste di due parti, l’organismo e l’ambiente, bensì esiste solo come un tutto. Organismo e ambiente non possono essere considerati come entità separate che interagiscono. Considerati come realtà a sé stanti, costituiscono soltanto delle astrazioni, poiché la realtà primaria è il campo, definito come “un organismo e il suo ambiente”.

Albino Macaluso