esperienza

Esperienza addictive: processi neurobiologici e riconoscimento terapeutico

-Giancarlo Pintus

Nel solco del rapporto tra teoria e pratica della psicoterapia della Gestalt e sapere neuro- scientifico, l’autore delinea le connessioni tra i processi neurobiologici nell’addiction e i vissuti traumatici di questa esperienza. Le aree corticali e subcorticali implicate nei processi dell’addiction risultano profondamente interconnesse con quelle deputate alle funzioni cognitive. Si tratta delle stesse aree che si attivano nelle primarie relazioni di attaccamento e che nell’addiction vengono traumatizzate dalla potenza dell’esperienza addictive. Esiste un nesso funzionale tra bisogno di appartenenza, sostegno e vulnerabilità all’addiction. La terapia dell’addiction diventa trasformativa nella misura in cui sa accogliere e coronare questa intenzionalità di appartenenza del campo organismo-ambiente.

Desiderio, piacere, addiction

Non si può comprendere l’esperienza addictive senza una riflessione sul piacere quale quota esistenziale determinante nella vita umana, ed è necessario guardare all’addiction come una disfunzione del piacere e dell’attaccamento. Cuore dell’esperienza addictive è la ricerca del piacere assoluto (Pintus e Crolle Santi, 2014); le aree corticali e subcorticali implicate nei processi percettivi del piacere risultano profondamente interconnesse e interdipendenti con le aree deputate alla memoria, l’apprendimento e il comportamento volontario. Stimoli particolarmente piacevoli attivano questi circuiti inviando all’organismo, tramite la cosiddetta cascata dopaminergica, il segnale biochimico che l’esperienza in atto è la cosa giusta in quel momento, una sensazione di allentamento della tensione paragonabile al sentirsi a casa propria.

È l’intensità della percezione che facilita l’apprendimento: più è forte il vissuto associato all’esperienza più l’apprendimento si integra stabilmente nello sfondo esistenziale modificando le strutture e le funzioni cerebrali. Un ruolo centrale è svolto, come detto, dai neuroni dopaminergici del sistema mesolimbico particolarmente impegnati nella modulazione dei processi di aspettativa del piacere (desiderio), mentre la componente consumatoria che genera appagamento sembra da attribuirsi all’endorfina (Guerrini, Marraffa, 2012). La distinzione tra desiderio e piacere è fondamentale nell’instaurarsi di un’esperienza di addiction poiché è l’aspettativa della ricompensa già sperimentata in precedenza a muovere la ricerca compulsiva dell’oggetto gratificante anche quando, per l’azione omeostatica dell’organismo, gli effetti sperimentati sono di potenza sempre inferiore.

2. Addiction come esperienza traumatica

3. Neuroplasticità e competenze relazionali nell’esperienza addictive

4. La terapia: tra biochimica ed esperienza di buon contatto

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

Consulta indice e contenuti

Potrebbe interessarti anche: Le dipendenze patologiche. Comprensione ed intervento clinico in psicoterapia della Gestalt

espressione vocale

L’espressione vocale nel trattamento gestaltico dei disturbi psicosomatici

-Оleg V. Nemirinskiу e Oksana G. Shevchenko

Questo articolo descrive una modalità di applicazione dell’approccio gestaltico ai disturbi psicosomatici: il sintomo viene considerato come una “contraddizione congelata” e una combinazione di retroflessione e proiezione. Inoltre propone una integrazione metodologica del lavoro con i processi corporei e relazionali.

Gli autori presentano un metodo di intervento con la voce nella terapia psicosomatica. Vengono descritte sessioni di lavoro con la voce, tecniche specifiche e un caso clinico. Per concludere, vengono presentati due casi che illustrano il lavoro con il sintomo psicosomatico e le fasi e le tecniche utilizzate in terapia.

Alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, si osserva un crescente interesse da parte di psicoterapeuti di diverse scuole nei riguardi dell’utilizzo della voce (Austin, 1993; Gregory, 2009; Newham, 1998; Overland, 2005, ed altri).

Nella terapia psicoanalitica sono noti i lavori di Diane Austin (1993), basati sulla teoria di Jung e delle relazioni oggettuali di Winnicott, in cui la voce viene vista come qualcosa che contiene importanti informazioni sul passato e in particolare sulla prima esperienza di relazione tra madre e bambino.

L’utilizzo della voce è specifico dei terapeuti che si focalizzano sulla consapevolezza corporea (Linklater, 1976; Newham, 1998). Paul Newham, vocalista come prima formazione e psicologo come seconda, sviluppò un metodo di terapia vocale che chiamò Therapeutic Voicework. Egli individuò dieci parametri acustici per la voce umana, che riflettono diversi stati, significati e qualità della personalità.

Gli obiettivi della terapia vocale sono legati all’ampliamento del campo espressivo che dà al paziente la possibilità di acquisire una nuova esperienza emozionale.

Nell’approccio gestaltico sono conosciuti i lavori di Susan Gregory (2004; 2009), la quale associa il lavoro con la voce e con il canto a diversi esercizi (una parte dei quali è legata al movimento) e al lavoro terapeutico tradizionale. Partendo da esercizi vocali di produzione del suono, associati ad una particolare attenzione per il respiro e il radicamento, si passa ad esercizi ritmici, alla percezione estetica della melodia ed infine al cantare le parole. Il testo di una canzone viene anche visto come narrativo della personalità. Come scrive Susan Gregory (2009) ogni individuo ha una canzone che per lui è molto importante per via del contesto in cui l’ha cantata o l’ha ascoltata. Nelle canzoni si concentra la propria storia personale. Ciò rende la terapia vocale assai efficace nel lavoro con i traumi e anche nella risoluzione di altri problemi in terapia individuale e di gruppo.

Nel presente articolo descriviamo lе possibilità dell’uso della voce nel lavoro con i disturbi psicosomatici.

1. Sintomo e contatto

In psicoterapia della Gestalt, è importante riferirsi al concetto di doppia natura del sintomo (Perls, Hefferline, Goodman, 1951). Il sintomo, in quanto adattamento creativo, costituisce un paradosso: è espressione di vitalità e contemporaneamente “difesa” contro la vitalità, manifestazione di qualche “problema” e al tempo stesso tentativo di risolverlo. Il terapeuta gestaltico intende il sintomo non soltanto come motivo di sofferenza per il paziente, ma anche come fonte potenziale delle sue forze vitali. L’eccitazione bloccata viene immobilizzata e contenuta nel sintomo in forma latente (nei casi semplici sotto forma di tensione cronica vera e propria, ma questo riguarda qualsiasi sintomatologia). (…)

Seguenti capitoli:

2. Il lavoro con la voce
3.La voce nel lavoro con i disturbi psicosomatici
4. Un caso clinico

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2013/1, L’esperienza corporea in psicoterapia

Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 125

Consulta indice e contenuti

Potrebbe interessarti anche:

seduta dal vivo

L’arte del prendersi cura: dialogo su una seduta

– Margherita Spagnuolo Lobb, Adriano Schimmenti e Pietro Andrea Cavaleri. A cura di Teresa Borino

L’articolo riporta la trascrizione di una seduta dal vivo condotta nel 2010 da Margherita Spagnuolo Lobb durante un seminario presso l’Università Kore di Enna. La seduta è incentrata sul sostegno della consapevolezza, all’interno dell’esperienza co-costruita tra terapeuta e paziente. Parole e corporeità si intrecciano al confine di contatto, in una danza relazionale in cui il qui-ed-ora dell’incontro diviene bussola del terapeuta, per sostenere il now-for-next, l’intenzionalità di contatto della paziente. A seguire vengono riportati i commenti del Prof. A. Schimmmenti e del dott. P.A. Cavaleri, che hanno assistito alla seduta. Il risultato è un interessante dialogo e uno stimolante confronto tra due vertici osservativi del processo terapeutico: la psicoanalisi e la psicoterapia della Gestalt.

«E allora, non ascoltate le parole,
ma soltanto quello che vi dice la voce,
quel che vi dicono i movimenti,
quel che vi dice l’atteggiamento, quel che vi dice l’immagine. (…)
Se abbiamo occhi e orecchie, il mondo è aperto»
Perls (1980)

Le parole di Fritz Perls introducono alla prospettiva estetico- fenomenologica che ha animato la seduta dal vivo condotta da Margherita Spagnuolo Lobb in occasione di un seminario didattico presso l’Università Kore di Enna. L’intervento clinico poggia sul ground di una prospettiva olistica ed estetica dell’esperienza in cui ogni passaggio, parola e vissuto, anche il luogo più intimo delle percezioni e sensazioni corporee, sono considerati un fenomeno di campo. Le parole che sostengono e accompagnano l’esperienza affondano le loro radici nei vissuti senso-motori che originano al confine di contatto (cfr. Perls, Hefferline, Goodman, 1997; cfr. Borino, 2013). Ed è proprio ciò che avviene in questo confine ad essere disponibile alla nostra osservazione e all’intervento terapeutico.

Il farsi del contatto che anima la seduta è un’esperienza intercorporea (cfr. Merleau-Ponty, 1979; 1996) di movimenti intenzionali in cui la fisiologia e la corporeità in parte sono già date, e in parte si creano e si modificano in un continuum processuale nel campo fenomenologico “dato” (cfr. Borino, 2013). Il lettore viene coinvolto in un processo di progressivo sostegno alla consapevolezza del corpo-in-relazione, al movimento intenzionale della paziente che sottende il desiderio di raggiungere ed essere raggiunta, il processo della co-creazione del sé al confine di contatto. Quello che accade nel qui ed ora del confine di contatto avviene e si rivela a livello di respirazione, postura, tensione muscolare, cuore che batte, occhi che guardano e orecchie che sentono (cfr. Borino, 2013).

Per l’intera seduta Spagnuolo Lobb lavora tenendo costantemente presente il doppio binario del «livello diacronico dell’esperienza che costituisce lo sfondo dell’esperienza della paziente, e il livello sincronico, costituito dalla figura del disagio attuale e dell’intenzionalità di contatto che cerca di portare a compimento» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 98). Se l’attenzione della terapeuta è costantemente rivolta al here-and-now della relazione, la sua tensione è centrata sul now-for-next. All’interno di un’ottica di campo e di una prospettiva antropologica positiva, in cui l’adattamento creativo a situazioni difficili è la lente per guardare al malessere ma anche alle risorse della paziente, la lettura transferale prospettata dal prof. Schimmenti diventa per noi gestaltisti l’attualizzazione di competenze relazionali co-create nell’incontro.

Il modello estetico e processuale di Spagnuolo Lobb rende l’intervento psicoterapico fiducioso nell’autoregolazione della relazione, in ciò che già funziona, nella tensione verso. Per la psicoterapia della Gestalt, infatti, è proprio l’incontro tra il terapeuta ed il paziente che genera la possibilità di crescita e cambiamento attraverso la ristrutturazione percettiva dell’esperienza e la novità relazionale co-creata nel qui-ed-ora del contatto. Scopo della “cura” non è la comprensione razionale bensì qualcosa che ha a che fare con aspetti processuali ed estetici: il recupero della spontaneità nel contattare l’ambiente.

La seduta: Margherita Spagnuolo Lobb conduce la seduta, Adriano Schimmenti e Pietro A. Cavaleri osservano per poi fare il commento.

T.: Come ti chiami? Pz.: Paola.
T.: Vuoi che inizi io? Pz.: Sì.

T.: Puoi sederti più comoda possibile? Ok, prova a respirare un po’ più pienamente…

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag 73

Consulta indice e contenuti

Potrebbe interessarti anche: Psicoterapia della Gestalt in dialogo: dall’individuo, alla relazione, al campo. Riflessioni tra clinica, formazione e società ;

La spontaneità dell’incontro terapeutico

– di Mercurio Albino Macaluso

Facendo riferimento alla teoria del sé presentata da Perls, Hefferline e Goodman in Gestalt Therapy (1951), questo lavoro esamina il concetto gestaltico di spontaneità e le sue implicazioni cliniche. La spontaneità è la qualità propria del buon contatto, dell’esperienza piena. Quando è pienamente presente nel qui e ora dell’incontro con l’altro, il terapeuta è nella condizione migliore per cogliere ciò che si presenta al confine di contatto e per rispondere ad esso in modo spontaneo. Così intesa, la spontaneità del terapeuta, che non è mai disgiunta della responsabilità che il ruolo di cura implica, diventa strumento fondamentale di terapia.

I recenti sviluppi della psicoterapia della Gestalt, a partire dagli anni No- vanta, hanno dato maggiore enfasi agli aspetti relazionali del nostro approccio, già presenti in nuce in Gestalt Therapy (Perls, Hefferline e Goodman, 1951). Secondo Spagnuolo Lobb (2011), nell’attuale contesto socio-culturale, contraddistinto dalla carenza di relazioni intime e dall’incapacità di contenere l’eccitazione dell’incontro con l’altro, compito fondamentale della psicoterapia diventa «dare strumenti di sostegno relazionale orizzontale, che possano far sentire le persone riconosciute dallo sguardo dell’altro paritario» (p. 29). In tale prospettiva, la cura non consiste tanto nel fornire al paziente un sostegno all’espressione dei suoi bisogni inibiti, quanto nel fornirgli un’esperienza di incontro, che gli consenta di ripristinare la spontaneità del sé. La stessa consapevolezza, concetto centrale in psicoterapia della Gestalt, che indica l’essere centrati sul momento presente, è intesa nella situazione terapeutica in termini relazionali. Scrive Spagnuolo Lobb (2011, pp. 45-46): «L’essere nel presente (…) è un essere nella realtà della situazione (sia del paziente che del terapeuta), nella realtà delle loro finitudini umane, ed è dallo stare in questa finitudine condivisa che ambedue si dirigono verso lo scopo terapeutico. Il processo di contatto-ritiro dal contatto è sperimentato per se stesso, allo scopo di trovare in questa relazione percezioni alternative che rendano possibile una spontaneità di contatto, un’integrità del proprio essere-con». Ciò richiede allo psicoterapeuta della Gestalt di essere disposto a lasciarsi coinvolgere emotivamente nella relazione terapeutica e di essere capace di rispondere all’altro in modo personale e spontaneo. Se in una prospettiva centrata sull’individuo lo strumento terapeutico fondamentale è la concentrazione, nella nuova prospettiva relazionale strumento fondamentale diventa la spontaneità del terapeuta. Oggi lo psicoterapeuta della Gestalt è chiamato a favorire la spontaneità del paziente attraverso la propria capacità di essere spontaneo e autentico. Nel suo lavoro la spontaneità costituisce fine e mezzo nello stesso tempo.

In quest’ottica, dunque, acquista centralità il concetto di spontaneità, che Margherita Spagnuolo Lobb definisce, in linea con la lezione di Perls, Hefferline e Goodman (1997), come «la qualità che accompagna l’essere pienamente presenti al confine di contatto, con la consapevolezza di sé, nel pieno uso dei propri sensi» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 84). Così intesa, la spontaneità diventa un requisito specifico dello psicoterapeuta della Gestalt.

In questo lavoro proverò ad affrontare alcune questioni relative alla spontaneità e alla sua funzione terapeutica in un’ottica gestaltica. In cosa consiste la spontaneità e quali sono le sue caratteristiche? Che valore terapeutico ha? Come si apprende la spontaneità dello stare in relazione? Come si concilia la spontaneità con la specifica responsabilità che il ruolo terapeutico comporta? Si tratta di questioni complesse e aperte. Questo lavoro vuole essere un contributo alla riflessione su di esse.

In ultimo, presenterò un esercizio di concentrazione sul confine di contatto, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo della capacità di focalizzare l’attenzione su ciò che accade momento per momento nell’interazione con il paziente e di rispondere ad esso in maniera spontanea.

L’articolo affronta i seguenti temi:

1. Concentrazione, consapevolezza e spontaneità ne l’Io, la fame, l’aggressività

2. Il sé spontaneo in Gestalt Therapy

3. La spontaneità dell’incontro terapeutico

4. Spontaneità, competenza e responsabilità

5.Le principali modalità del sé nella situazione terapeutica

6. Un esercizio di concentrazione sul confine di contatto

(…)

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-2, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli 

Consulta indice e contenuti

Protrebbe interessarti anche: Psicoterapia della Gestalt in dialogo: dall’individuo, alla relazione, al campo. Riflessioni tra clinica, formazione e società
Convegno di studi 
Condotte impulsive, antisociali, psicopatiche e assessment psicologico