come ridare voce e corpo al bambino violato

Rosanna Militello intervista Marinella Malacrea (Parte II)

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma sessuale all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

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Rosanna Militello: Quanto incide l’ambiente non accudente, non terapeutico durante il trattamento?

Marinella Malacrea: Pur non sottovalutando un’ottica preventiva, è saggio ammettere non solo che la maggior parte delle evenienze ambientali fattuali non è controllabile ed evitabile, ma che comunque parte di esse contengono anche un potenziale positivo. Occorre quindi “cavalcare la tigre”, cercando nelle varie vicende una prospettiva che le renda occasione, sia pur sofferta, di promozione personale.

A tal proposito, i concetti chiave che abbiamo individuato sono due: quello di “riattivatore traumatico” e quello di “finestra di plasticità”, che possono ben essere considerati come due facce della stessa medaglia. Il primo passo è il riconoscimento dei riattivatori traumatici: è noto che i soggetti traumatizzati nell’infanzia acquisiscono una maggiore vulnerabilità al ripetersi di evenienze analoghe a quelle che li hanno danneggiati. Tendono anche a interpretare in modo allarmato circostanze di per sé non minacciose, attraverso la costruzione permanente della convinzione di avere a che fare con un “mondo malevolo”. Tutto ciò che comporta un’alta tonalità emotiva, anche di segno positivo, e un significativo coinvolgimento relazionale può destabilizzare il soggetto dando luogo al ripristino automatico degli schemi di funzionamento post traumatico. Le piccole vittime tendono dunque a reagire con modalità post traumatiche specialmente alle esperienze che comportano intensità e prossimità dei legami, cioè circostanze in cui il soggetto traumatizzato sente aumentare la propria vulnerabilità. Sul piano operativo, quanto sopra impone l’esigenza di concepire la presa in carico come marcata dalla probabilità di ricadute, che vanno riconosciute e che richiedono la ripresa di cure intensive.

Ma si può fare di più in tutte quelle circostanze che potenzialmente re-innescano le reazioni post traumatiche, ma che possono essere considerate evenienze addirittura desiderabili? Pensiamo agli esiti giudiziari che comportano protezione e migliori prospettive future nella vita del bambino; o a nuove relazioni familiari importanti (affidamento, adozione); o a fasi di sviluppo personale fisiologici e cruciali, come la pubertà e il passaggio all’adolescenza; o alle prime prove di coinvolgimento in relazioni affettive e sessuali con pari. Come detto sopra, ogni occasione con queste caratteristiche di pregnanza può dare riattivazione. Ci viene in soccorso a questo punto l’altro concetto chiave, quello di “finestra di plasticità”.Ciò di cui può essere temuta la forza destabilizzante è anche una possibilità unica di riordino mentale. In questi momenti le strutture cerebrali ritrovano in parte la flessibilità perduta. È quindi il momento propizio: la tempestiva messa in campo di un intervento terapeutico mirato, facendo leva proprio sulla momentanea destabilizzazione e sul momentaneo innalzamento della temperatura emotiva, può essere occasione privilegiata per lavorare sulla scelta di diverse abilità di coping, per l’elaborazione di nuovi significati, per il contenimento emotivo, per il progresso nei processi di lutto, in definitiva per il raggiungimento di un assetto di funzionamento più sano.

Rosanna Militello: Secondo la mia esperienza clinica, all’interno della stanza della terapia, il bisogno di raccontare e raccontarsi del bambino violato, di buttare fuori lo sporco, di conoscere e sentire le emozioni, si chiarifica sempre di più. Attraverso l’utilizzo di modalità creative non invadenti e più vicine al linguaggio infantile diventa più facile contattare il dolore e la vergogna. Quando gli si dà la possibilità di creare, il bambino lascia emergere nuove figure, anche se lo sfondo è caratterizzato da quella confusione di cui l’abuso è assoluto portatore. Cosa ne pensa?

Marinella Malacrea: Lo scarico motorio, il non pensiero, la televisione o i videogiochi, il dormire, l’ammalarsi, perfino l’applicarsi in certe prestazioni scolastiche “meccaniche” ma impegnative per la mente, costituiscono strategie utilizzate dai bambini per rinforzare l’impulso e la tendenza a segregare ricordi e vissuti traumatici nell’angolo più inaccessibile della mente. Questo impegno nella “fuga” lascia dietro di sé una scia preoccupante di sintomi che si manifestano con disturbi del sonno, del comportamento alimentare, disturbi psicosomatici, del controllo delle funzioni fisiologiche, dell’umore, dell’apprendimento e della capacità di relazionarsi. Questo sforzo di evitamento del ricordo e dei vissuti traumatici opera da rinforzo alla filosofia di fondo improntata alla solitudine, alla disistima di sé (non posso mostrarmi a nessuno, non sono amabile) e degli altri (nessuno mi potrà capire, non posso fidarmi di nessuno), alla necessità di tenere tutto sotto controllo, al disgusto e alla vergogna, alla previsione negativa sul proprio futuro, alla demotivazione.

L’intervento psicologico con le piccole vittime si configura, sin dal primo approccio, come una vera guerra ai meccanismi di negazione, evitamento e dissociazione. A quel punto bastano a volte poche sedute (specie da quando abbiamo introdotto la tecnica EMDR) per sbloccare e far virare funzionamenti che erano sembrati per mesi, a volte davvero tanti, inamovibili. Come si sa, le favole ci insegnano che le magie finiscono a mezzanotte: quindi abbiamo imparato a non spaventarci quando, raggiunto un livello di possibilità elaborativa ideale, ricompaiono, in apparenza più virulenti che mai, i meccanismi di evitamento che ben avevamo imparato a conoscere. L’esperienza positiva fatta non va perduta: sembrano ripercorrersi i soliti sentieri della mente, ma con capacità sempre maggiori di contenimento e possibilità di elaborazione.

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Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011/1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 13.

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Come ridare voce e corpo al bambino violato

Rosanna Militello intervista Marinella Malacrea (Parte I)

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma sessuale all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

Rosanna Militello: Crescere dentro relazioni sane, nutrienti, chiare dovrebbe essere un processo naturale per ogni bambino; è infatti il vivere, dentro l’oikos, l’esperienza del rispetto, del giusto calore, della non invasione dei confini che dà al piccolo dell’uomo lo sfondo da cui partire per diventare un adulto sicuro, forte, capace di abitare il mondo, di andare verso la polìs con fiducia e fierezza. Un diritto che a nessun bambino dovrebbe essere negato.  L’esperienza maturata in questi anni come psicoterapeuta di bambini ed adolescenti abusati e come Consulente Tecnico presso la Procura mi ha permesso di sperimentare, giorno dopo giorno, quanto devastato e confuso sia il mondo interno delle piccole vittime di abuso. L’attacco ai confini fisici, mentali ed emotivi genera molto spesso un forte indebolimento del sé lasciando l’immagine di un corpo pesto e segnato da pesanti cicatrici. Potrebbe parlarci del trauma legato all’abuso sessuale?

Marinella Malacrea: Nel parlare di trauma preferisco utilizzare la nozione di Esperienze Sfavorevoli Infantili (ESI) introdotta da Felitti (Felitti et al., 2001), per indicare quell’insieme di situazioni vissute nell’infanzia che si possono definire come “incidenti di percorso” negativi rispetto all’ideale percorso evolutivo. Esse comprendono tutte le forme di abuso all’infanzia subito in forma diretta, come abuso sessuale, maltrattamento psicologico, fisico, trascuratezza; e le condizioni subite in forma indiretta che rendono l’ambito familiare impredicibile e malsicuro, come per esempio alcolismo o tossicodipendenza dei genitori, malattie psichiatriche e soprattutto violenza assistita, cioè il coinvolgimento del minore, attivo e/o passivo, in atti di violenza compiuti su figure di riferimento per lui affettivamente significative. Ciò che accomuna tutte le forme di Esperienze Sfavorevoli Infantili, e rende anche così poco differenziabili le loro conseguenze in termini di sintomi e comportamenti, è il fatto che possono produrre distorsione traumatica nei processi di attaccamento, base della futura personalità.

Rosanna Militello: In psicoterapia della Gestalt il funzionamento organismico è regolato dalla dinamica figura/sfondo. In una situazione di normalità, da uno sfondo tranquillo, ricco e articolato emergono di volta in volta figure nitide, che conducono l’organismo a interagire con l’ambiente per assimilare una novità e dunque crescere. Quando questo processo di approccio all’ambiente è disturbato e l’organismo non può portare a termine l’intenzionalità di contatto, l’esperienza si completa con un apprendimento negativo o traumatico, e lo sfondo comincia a diventare “torbido”, disturbato (Spagnuolo Lobb, 2011). Da uno sfondo disturbato emergono figure poco chiare. In altre parole, il bambino abusato, colpito da un trauma che riguarda il tradimento o la confusione di ruoli percepiti nella relazione con figure di attaccamento, non riesce a regolarsi, a lasciare emergere nella relazione con l’altro significativo figure chiare che possano guidare la sua crescita. Il trauma viene inteso, pertanto, come un disturbo nella sequenza spontanea del contattare l’ambiente, come una condizione che rende impossibile lo spontaneo fluire del processo figura/sfondo; un blocco dell’intenzionalità di contatto, una Gestalt inconclusa che, arrestando il normale sviluppo fisiologico ed evolutivo, crea shock e malessere. Come definisce nel suo modello l’esperienza traumatica di un bambino vittima di Esperienze Sfavorevoli Infantili?

Marinella Malacrea: Si tratta di un’esperienza sopraffacente che fa fallire le normali difese e le ordinarie strategie con cui si affrontano gli eventi esterni. Molto cambia se tale esperienza è acuta e puntuale che, pur destabilizzando il soggetto, non inquina il terreno in cui affonda le radici, oppure cronica e pervasiva delle relazioni che dovrebbero essere la sua base sicura. Per usare una metafora fisica, mentre nel trauma acuto il soggetto reagisce all’esperienza traumatica, che immaginiamo come un corpo estraneo entrato attraverso una ferita, lavorando per l’espulsione attraverso l’equivalente di una florida reazione infiammatoria (il Disturbo Post Traumatico da Stress, PTSD), nel trauma o nello stress cronici si produce l’equivalente di un ascesso, dai sintomi più insidiosi, difficile da raggiungere dalle cure e fonte continua di minaccia per la salute. Si parla in questi casi di “trauma interno all’identità”, che apre la strada a un effetto pervasivo e permanente a carico dei processi di regolazione psicologici e biologici del bambino.

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Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011/1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 13.

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