IL SÉ

Chiamiamo “sé” il complesso sistema di contatti necessario per l’adattamento in un campo difficile. Si può considerare che il sé si trovi sulla linea di demarcazione dell’organismo, ma la linea di demarcazione stessa non è isolata dall’ambiente; essa è in contatto con l’ambiente; appartiene ad entrambi, all’organismo e all’ambiente. Il contatto consiste nel toccare, nel toccare qualcosa. Non si deve pensare al sé come ad un’istituzione fissa; esso esiste ogni qualvolta e dovunque vi sia nei fatti un’interazione sulla linea di demarcazione. Per parafrasare Aristotele: “Quando il pollice viene pizzicato, il sé esiste nel pollice che duole”.

F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman

CONTATTO E RELAZIONE

Robine sottolinea la differenza esistente tra il concetto di contatto e quello di relazione: «Essendo “la realtà primaria più semplice”, il contatto non indica ancora la relazione. La tematica del contatto è al di qua dell’oggetto, al di qua dell’altro. Il contatto non denota ancora l’investimento di un oggetto o di un altro, ma denota uno schema senso-motorio, dei modi di sentire e muoversi, di “andare verso e prendere”» (Robin, Il rivelarsi del sé nel contatto, 2006, p. 41). La relazione rimanda, invece, all’interazione tra due o più persone, e quindi alla reciprocità dell’esperienza di incontro.
Vi è un’altra fondamentale differenza tra contatto e relazione, pure evidenziata da Robine. Il contatto indica l’esperienza dell’incontro nel qui e ora. La relazione, invece, consiste nell’insieme degli incontri che sono avvenuti nel tempo. Il concetto di relazione rinvia alla dimensione del tempo, alla storia del rapporto tra due persone. Contatto e relazione sono riconducibili a due diverse concezioni del tempo, presenti nella cultura greca. Il contatto rinvia a kairòs, la concezione soggettiva del tempo, vale a dire il momento presente in cui qualcosa accade, qualcosa è vissuto. La relazione fa riferimento a chrònos, l’idea oggettiva del tempo, ossia il tempo che scorre attraverso il succedersi degli eventi.

Albino Macaluso (da QdG 2012/2)

LA PSICOPATOLOGIA: LA SOFFERENZA DELL’ANIMA

La sofferenza dell’anima, la psicopatologia, è sofferenza del confine di contatto. Può essere sentita come dolore soggettivo oppure no. Quest’ultimo caso accade quando il soggetto non sente pienamente ciò che avviene al confine. Ma lo può sentire l’altro, o un terzo. Da un punto di vista clinico non è il dolore ad essere patologico, ma l’insopportabilità a sostenerlo e ad esserne consapevoli a livello individuale, familiare e sociale. Per ridurre il dolore soggettivo si fa soffrire il tra, il confine. C’è una riduzione del dolore percepito e quindi della consapevolezza. In termini evolutivi, questa capacità di ridurre il dolore insostenibile è stata un’opera creativa che ha protetto l’individuo, la famiglia, la società.
 

Gianni Francesetti, Michela Gecele, Jan Roubal

L’ESPERIENZA ADDICTIVE

La costante perdita di punti di riferimento tipica della società post-moderna fa del trauma, come viene percepito oggi, non più un evento drammatico e circoscritto, ma una condizione stabile e durevole. Nella società liquida l’eccitazione del bambino non ha più contenimento relazionale e la desensibilizzazione appare una risposta adattiva del confine di contatto ad un trauma permanente. L’uomo contemporaneo esprime un forte bisogno di appartenenza in assenza del necessario radicamento nella relazione.
La spinta verso l’autonomia, deprivata di un adeguato e fondativo radicamento nell’altro, lascia incompleta e aperta l’intenzionalità di contatto che cerca, invano, contenimento relazionale. Nell’esperienza addictive il bisogno di appartenenza intima, in assenza di un altro, può essere soddisfatto manipolando la biochimica del legame e dell’attaccamento.

Giancarlo Pintus

da: “Processi neurobiologici e riconoscimento terapeutico nell’esperienza addictive”. In Quaderni di Gestalt N.2015/1 La psicopatologia nella clinica gestaltica – parte seconda

 

UNA MENTE ESTETICA SOMATO-EVOLUTIVA

Ritengo che nel loro lavoro clinico i terapeuti della Gestalt abbiano bisogno di una mente estetica somato-evolutiva, più che di una mappa epige-netica o di uno schema di tappe evolutive.
Per orientare la nostra diagnosi e il nostro intervento, dobbiamo rintracciare nel corpo e nelle parole del paziente l’evoluzione delle sue capacità di contatto e il loro attuale intreccio; per comprendere quanta freschezza e vitalità contengano, non abbiamo bisogno di riferirci a degli stadi maturativi. Il linguaggio terapeutico deve partire dalle “ragioni del corpo” del paziente, per usare le parole di Nietzsche (1883), così come esse si riverberano nel corpo del terapeuta.

Margherita Spagnuolo Lobb

IL CAMPO DI RELAZIONE

Tutti i bambini passano attraverso una sequenza simile di schemi durante il loro sviluppo, ma ciascun bambino li realizza in maniera differente e manifesta l’unicità della sua relazione con l’ambiente che lo accudisce. Un’informazione vitale sulla vita psichica del bambino si rivela nei suoi schemi di movimento.
Gli schemi non sono del bambino, e nemmeno dell’ambiente, bensì del campo di relazione. È all’interno del contesto di queste interazioni che il bambino forma: il respiro, la gestualità, la postura e l’andatura, dando ulteriori informazioni alla relazione.

Ruella Frank

IL CORPO, PRINCIPIO DELL’ESPERIENZA

Il lavoro corporeo gestaltico non è rendere esplicito ciò che è implicito, né favorire la catarsi di un’emozione repressa, ma sostenere il gesto mancato che cerca di svilupparsi al confine di contatto con il terapeuta, di cui anche la parola fa parte.
Non è importante l’uso di tecniche corporee, ma la mentalità del considerare il corpo come principio dell’esperienza.

Margherita Spagnuolo Lobb

L’ESPERIENZA DISSOCIATIVA IN PSICOTERAPIA DELLA GESTALT

Nell’approccio gestaltico oltre a vedere queste forme dissociative in un’ottica dimensionale, aggiungiamo una lettura relazionale che le colloca lungo un continuum che va dalla spontaneità del contatto (capacità di adattarsi nel contatto con l’ambiente senza perdere la flessibilità e la presenza, la consapevolezza) all’assenza di consapevolezza al confine, alla desensibilizzazione del sé-in-contatto provocata da processi ansiogeni.
Una peculiarità dell’ottica dimensionale della psicoterapia della Gestalt è lo sguardo alle dissociazioni come adattamento creativo del processo di contatto con l’ambiente. Esso consente di leggere l’esperienza dissociativa all’interno di un accadimento relazionale: “Mi dissocio con te”. Questa peculiare ottica colloca l’intervento gestaltico nella cornice di una necessaria relazionalità: il terapeuta deve innanzitutto fornire quel ground relazionale che consente al paziente di recuperare la spontaneità del processo di contatto rimasto per così dire “sospeso”.
 

Margherita Spagnuolo Lobb, Valeria Rubino
(Da QdG 2015/1 Vol XXVIII – La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt – II)

LA PROIEZIONE AL FUTURO

Potremmo affermare che l’opposto dell’esperienza depressiva non è la felicità, ma la speranza. La felicità infatti non è solo l’esperienza che consegue al raggiungimento di un obiettivo, ma è anche il vissuto che si accompagna alla speranza, caratterizzato da un’apertura al now for next, al movimento dell’altro.
Le recenti ricerche di neuroscienze (Gallese, 2007) e la rivoluzionaria teoria di Daniel Stern (2010) confermano che ciò che muove le relazioni umane è la percezione del movimento intenzionale dell’altro. Il nostro cervello è fatto in modo da sviluppare empatia verso i movimenti intenzionali dell’altro e ciò che costituisce la nostra coscienza sono le gestalt di movimento, le forme di vitalità.

Margherita Spagnuolo Lobb

LA CREATIVITÀ COME CO-CREAZIONE

Appare chiaro oggi che la cura psicoterapica, perfino quella gestaltica, non può concepire la creatività semplicemente come qualcosa da sostenere nel paziente, e da coltivare nel terapeuta. Si tende piuttosto a inserirla nel contesto di una co-creazione, in linea con il trend di una cultura che, nel suo complesso, guarda alla natura umana da una prospettiva nuova, e assume come codice ermeneutico di base i concetti di relazionalità e relatività.
Se 50 anni fa il movimento New Age proponeva la crescita personale come superamento dell’allora vigente modello culturale autoritario, e il concetto di creatività veniva letto in termini di realizzazione personale e di liberazione da certi schemi culturali, oggi, nella nostra era post-moderna priva di punti di riferimento stabili o sicuri, il concetto di creatività va necessariamente letto come una questione che riguarda la relazione, intesa come unico fenomeno dell’esperienza in cui si possa trovare una verità momentanea.

Margherita Spagnuolo Lobb