I Quaderni raccontano: le crescite difficili

Quando questa costellazione gerarchica è presente fin dall’età precoce, si crea una condizione di estrema gravità perché il bambino incorpora il messaggio di non esistenza, di non considerazione e di non valore che ripetutamente riceve.
In questo modo il bambino non viene privato della sua autonomia ma derubato della possibilità di vivere una dipendenza sana, matrice della fiducia; viene privato dell’essere visto e rispecchiato dall’altro, esperienza che è il fondamento del senso di esistenza. Viene privato dell’essere interpretato dall’altro e dell’essere capito, che è la condizione per la validazione del pensiero proprio; viene privato del senso di essere amabile e interessante per il prossimo, che è il fondamento dell’autostima. Viene privato infine, della gioia dell’appartenenza che vuol dire essere di qualcuno che ti vuole, essere nella mente dell’altro.
Lo sviluppo traumatico annienta il potenziale creativo, inchioda il bambino ad assumere una identità negativa e a svolgere un compito funzionale all’equilibrio di altri. Da questo punto di vista, l’ambiente familiare opera come un dispositivo – nel senso utilizzato da Foucault (1977) cioè come un insieme di strategie manipolative che designano le forme esperienziali percorribili e il campo simbolico dei significati condivisi vincolante per le persone. Definisce l’identità di ognuno, determina chi sono io, chi è l’altro, attraverso ingiunzioni esplicite o non dette, fortemente manipolatorie, che collocano il bambino in una posizione non evolutiva, bloccata, senza scelta, confusiva e al limite della sostenibilità.
Tutto ciò si realizza attraverso procedure di alterazione o cancellazione della realtà che impongono al piccolo la mortificazione dei sensi, del pensiero e dell’azione: determinano che cosa lui debba sentire, che cosa desiderare, che cosa pensare, che cosa vedere, che cosa dire, cosa ricordare, che cosa capire di quello che sta succedendo.
 
Tratto da: “Crescite difficili. La Gestalt incontra il trauma”, Anna Fabbrini, in Quaderni di Gestalt XXVII, 2014/2.

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