Esperienza addictive ed esperienza traumatica: fratture dello sfondo a confronto.

Un contributo di ricerca

di Laura Laudicina.
Psicologa e Psicoterapeuta della Gestalt.

Se diversi approcci considerano l’evento traumatico come uno dei possibili fattori predisponenti allo sviluppo di un’addiction, la novità apportata dalla Psicoterapia della Gestalt (Pintus, 2011; 2014; 2015; in press) consiste nel sostenere la sovrapponibilità tra le due esperienze e quindi definire l’addiction come esperienza traumatica piuttosto che come esito di un’esperienza traumatica.

Per la Psicoterapia della Gestalt la dinamica figura-sfondo è una delle modalità principali attraverso cui si organizza e si dà senso all’esperienza, nell’addiction, come nel trauma, questa dinamica è alterata: nell’addiction tutta l’energia, normalmente investita nel processo di formazione di nuove figure, è esclusivamente finalizzata alla ricerca della sostanza, similmente nel trauma le vittime prestano un’attenzione esclusiva a quelle parti del campo in qualche modo legate all’esperienza traumatica, ciò avviene per il bisogno biologico e psicologico di completare la situazione incompiuta, di ritrovare un senso d’interezza (Taylor, 2016). Addiction e trauma diventano quindi figure fisse su uno sfondo irrigidito: il soggetto vive un’esperienza talmente intensa e dirompente che non può essere assimilata nello sfondo e rimane bloccata in evidenza, impedendo l’emergere di altre figure nonché la crescita dell’organismo.

La pervasività della figura interrompe la fluidità del tempo, così che passato e futuro diventano dimensioni sempre più insignificanti e il presente rimane l’unico tempo possibile per il soggetto.

Inoltre, entrambe le esperienze testimoniano un fallimento relazionale precoce caratterizzato dall’assenza di un adulto significativo al confine di contatto che non ha consentito al bambino di sviluppare spontaneamente la sua intenzionalità e, di conseguenza, buone competenze relazionali.

Si è riscontrato anche un substrato neurobiologico comune e un vissuto di alienazione e desensibilizzazione corporea, sperimentato tanto dagli addicted quanto dai traumatizzati.

Questa recente concettualizzazione è stata ampliata da un’indagine sperimentale, condotta su un campione di soggetti addicted e soggetti traumatizzati, che ha evidenziato l’esistenza di importanti connessioni tra il modo in cui i soggetti addicted percepiscono il loro corpo, la loro famiglia di origine, le loro relazioni attuali e il loro vissuto di pazienti e le percezioni che degli stessi concetti hanno i soggetti traumatizzati.

I risultati quantitativi e qualitativi della nostra ricerca hanno confermato la natura traumatica dell’addiction. In particolare, è emerso come il prendersi cura di sé attraverso un percorso terapeutico consenta ai soggetti di riconoscersi meno nel vissuto addictive/traumatizzato. La terapia diventa pertanto il luogo del ripristino della spontaneità al contatto e sul piano neurologico l’esito di tale azione terapeutica corrisponde alla reintegrazione funzionale tra i due emisferi. In accordo con la letteratura gestaltica (Spagnuolo Lobb, 2015), secondo cui nella società attuale il terapeuta deve focalizzarsi e sviluppare strumenti migliori per capire e lavorare sull’esperienza dello sfondo, la terapia dell’addiction, quindi anche del vissuto traumatico, va intesa come una ristrutturazione dello sfondo che consenta l’emergere di nuove figure e il recupero della dinamica temporale.

Riferimenti bibliografici:

Pintus G. (2011). “Tempo e relazione nel vissuto dipendente. Percorsi ermeneutici e clinici”. In: Menditto M., a cura di. Psicoterapia della Gestalt contemporanea. Esperienze e strumenti a confronto. Milano: Franco Angeli.
Pintus G. (2015). “Processi Neurobiologici e riconoscimento terapeutico nell’esperienza addictive”. Quaderni di Gestalt, XXVIII 2015/1,63-71.
Pintus G. (in press). Addiction as persistent traumatic experience: neurobiological processes and good contact.
Pintus G., Crolle Santi M.V., a cura di (2014). La relazione assoluta. Psicoterapia della Gestalt e dipendenze patologiche. Roma: Aracne.
Spagnuolo Lobb M. (2015). “Il sé come contatto. Il contatto come sé. Un contributo all’esperienza dello sfondo secondo la teoria del sé della psicoterapia della Gestalt”. Quaderni di Gestalt, XXVIII 2015/2, 25-56.
Taylor M. (2016). Psicoterapia del trauma e pratica clinica. Corpo, Neuroscienze e Gestalt. Milano: Franco Angeli.