Psicoterapia del trauma e pratica clinica
Corpo, Neuroscienze e Gestalt
Miriam Taylor
Presentazione all’edizione italiana di Luigi Janiri
Quarta di copertina
È con senso di umanità e orgoglio che consegno al lettore italiano questo libro sulla cura del trauma secondo la psicoterapia della Gestalt. Si tratta di una declinazione particolare degli studi più recenti sul trauma, che consente di applicare nella pratica clinica il superamento del pensiero dicotomico tanto auspicato da filosofi, sociologi e psicoterapeuti nella società post-moderna.
La coscienza della natura unitaria e armonica del nostro rapporto con il mondo rende possibile affrontare il trauma con umanità e umiltà: non c’è un ego da sostenere né un nemico da sconfiggere ma una relazione da creare, una sofferenza da amare, nella consapevolezza di una fallibilità condivisa. Allora è possibile vedere la bellezza, l’armonico tentativo di raggiungere l’altro, che è già presente nello sfondo dei vissuti traumatici, e in ogni sofferenza che nasce dalla scissione del contatto tra il sé e il suo ambiente. Questa prospettiva rivoluzionaria è il contributo che la psicoterapia della Gestalt, partendo proprio da una critica ai propri limiti, può offrire alla cura dei traumi.
I cambiamenti socio-politici internazionali, con i conseguenti flussi migratori di questi anni e l’insorgere di un terrorismo che irrompe prepotentemente nella quiete della nostra quotidianità, nonché i cambiamenti ambientali,rappresentano delle grandi sfide per la nostra umanità: tutti – chi più e chi meno – siamo sottoposti a traumi, diretti e indiretti.
Questo libro ci aiuta– a prescindere dal ruolo professionale o dal legame affettivo che abbiamo con le persone di cui ci prendiamo cura – a comprendere come il trauma modifichi il funzionamento relazionale e neurobiologico delle persone. È un dovere che abbiamo verso i bambini innanzitutto, e verso tutti coloro che amiamo e di cui ci prendiamo cura a vario titolo.
Ritengo che sia una presenza preziosa nella collana di Psicoterapia della Gestalt.
Margherita Spagnuolo Lobb
Direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy
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Prezzo 35,00 Euro
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Contenuti
Nota introduttiva, di Margherita Spagnuolo Lobb |
Presentazione all’edizione italiana, di Luigi Janiri |
Ringraziamenti |
1. Introduzione |
1. Definire il trauma |
2. Terapie contemporanee del trauma |
3. Il corpo traumatizzato |
4. L’applicazione delle neuroscienze |
5. Riduzionismo e tecnica |
6. La Gestalt come terapia del trauma |
7. A proposito del libro |
Parte prima – Ampliare il campo della scelta |
2. Rendere possibile il cambiamento |
1. Il cambiamento dal punto di vista del paziente |
2. Considerazioni introduttive |
3. Teoria Paradossale del Cambiamento e trauma |
4. Altri fattori nel processo di cambiamento |
5. Neuroscienze, trauma e cambiamento |
6. Creare le condizioni per la crescita |
7. Verso un modello integrato di cambiamento |
8. Sommario |
3. L’organizzazione delle parti e del tutto |
1. Una metafora del lavoro |
2. Orientarsi nel trauma |
3. La figura e lo sfondo del trauma ‒Il campo, il sé e l’altro |
4. Adattamenti creativi |
5. Polarità, equilibrio e olismo |
6. Rigidità, caos e complessità |
7. Ristrutturare lo sfondo |
8. Sommario |
4. Lavorare con l’arousal |
1. Il trauma come problema di arousal |
2. Arousal e Gestalt |
3. Il sistema nervoso autonomo |
4. Il modello della finestra di tolleranza |
5. Lavorare con l’arousal |
6. Sommario |
5. Lì ed allora, qui ed ora |
1. L’atemporalità del trauma |
2. Oltre il qui ed ora |
3. Differenziare l’esperienza |
4. Consapevolezza del qui ed ora |
5. Consapevolezza e metodo fenomenologico |
6. Consapevolezza, fenomenologia e processo di cambiamento |
7. Il ruolo della mindfulness nella terapia del trauma |
8. Sommario |
Parte seconda – Ai limiti del sé |
6. Dalla paura alla sicurezza |
1. Evitamento, trigger e fobie |
2. Risposte alla paura |
3. Orientarsi nel pericolo |
4. Neurobiologia della paura |
5. Difese di sopravvivenza |
6. Comportamenti a rischio |
7. Stabilire la sicurezza |
8. Caso clinico: Eve (parte prima) |
9. Sommario |
7. Dall’helplessness all’autonomia |
1.Helplessness e processi sani: una prospettiva gestaltica |
2. Due tipi di helplessness nel corpo |
3. L’impatto psicologico dell’helplessness |
4. Cambiamento di locus di controllo |
5. Agency, scelta e autonomia |
6. L’azione |
7. Caso clinico: Eve (parte seconda) |
8. Sommario |
8. Dalla disconnessione al contatto |
1. Prospettive teoriche sulla dissociazione |
2. Depersonalizzazione e derealizzazione |
3. Dare senso alla dissociazione |
4. La dissociazione e il corpo |
5. Il sé frammentato |
6. Dissociazione e relazione |
7. Sostenere il contatto |
8. Caso clinico: Eve (parte terza) |
9. Sommario |
9. Dalla vergogna all’accettazione |
1. Leggere la vergogna attraverso la lente del trauma |
2. La vergogna come attacco al sé |
3. Vergogna, colpa e responsabilità |
4. Corpi pieni di vergogna |
5. Un mondo poco ricettivo |
6. Lavorare con la vergogna |
7. Caso clinico: Eve (parte quarta) |
8. Sommario |
Parte terza – Un’appartenenza relazionale per il trauma |
10. Il ruolo del terapeuta |
1. Il terapeuta e il cambiamento |
2. Potere e orizzontalismo |
3. Instaurare la relazione |
4. La teoria polivagale e l’impegno sociale |
5. Questioni transferali |
6. Il terapeuta come (ri)organizzatore |
7. Il terapeuta e la regolazione emotiva |
8. Il terapeuta e il qui ed ora |
9. Sommario |
11. Il terapeuta ben equipaggiato |
1. Storia personale 1: radunare le risorse |
2. Neuroni specchio |
3. La vulnerabilità del terapeuta |
4. Storia personale 2: sentirsi malfermo |
5. Il terapeuta incarnato |
6. Storia Personale 3: una finestra di tolleranza allargata |
7. Esperimenti |
8. La mindfulness come risorsa |
9. Guarigione reciproca |
10. Sommario |
12. La relazione incarnata |
1. Dilemmi relazionali |
2. Quello che già sappiamo |
3. Regolazione reciproca |
4. Un’esperienza oltre le parole: dare senso insieme |
5. Toccare |
6. Considerazioni specifiche sulla tolleranza della relazione |
7. Sommario |
13. Trasformare le ferite relazionali |
1. Attaccamento disorganizzato e trauma complesso |
2. Rottura e riparazione nella terapia del trauma |
3. Disregolazione e finestra di tolleranza |
4. Sopravvivere alle rotture |
5. Che cosa sta succedendo? Rendere manifesto il trauma |
6. Atti di trionfo |
7. Integrazione, narrazione e attaccamento guadagnato |
8. Caso clinico: Eve (parte quinta) |
9. Sommario |
Bibliografia |
Miriam Taylor, psicoterapeuta della Gestalt, opera privatamente e presso strutture pubbliche. Insegna al Metanoia Institute, in Inghilterra. In Italia collabora con l’Istituto di Gestalt HCC Italy (Siracusa, Palermo, Milano).
Presentazione all’edizione italiana
di Luigi Janiri
«Può agire come trauma qualsiasi esperienza provochi gli effetti penosi del terrore, dell’angoscia, della vergogna, del dolore psichico, e dipende ovviamente dalla sensibilità della persona colpita […] se l’esperienza stessa agisce come trauma» (Breuer, Freud, 1892, p. 95).
Rileggere oggi la definizione del primo nucleo concettuale freudiano sul trauma è particolarmente suggestivo alla luce della seconda parte dell’interessante volume di Miriam Taylor, che si intitola “Ai limiti del sé” e traccia dei percorsi terapeutici: dalla paura alla sicurezza, dall’impotenza all’autonomia, dalla dissociazione al contatto, dalla vergogna all’accettazione. Dagli “studi sull’isteria” alle neuroscienze, passando per Janet e van derKolk, è evidente che le esperienze traumatiche inscrivono tracce profonde e spesso indelebili nella mente e nel corpo delle vittime, producendo l’attivazione di meccanismi psichici e di patternsneuro-morfofunzionali che l’attuale ricerca tenta di integrare. Su questa solida base scientifica, nella consapevolezza che i processi di cambiamento si indirizzano non tanto e non solo alla semplice remissione dei sintomi, ma soprattutto alla creazione di nuove modalità di espressione e di esistenza, la terapia della Gestalt, di cui la Taylor è un’autorevole esponente, indica le vie attraverso cui è possibile riparare gli “effetti penosi” del trauma, elaborarne il vissuto e trasformare le emozioni negative ad esso connesse in affetti relazionali e condizioni di sopravvivenza.
La cornice teorico-clinica entro la quale si rende disponibile ai lettori la traduzione di Trauma Therapy and ClinicalPractice è profondamente mutata negli ultimi anni. Ben oltre il ristretto ambito nosografico, l’uscita del DSM-5 costituisce lo sfondo necessario per una riflessione sul trauma. Una prima considerazione riguarda l’allargamento dell’area del traumatico nella direzione del Complex PTSD, Complex trauma o trauma evolutivo che, come è noto, contempla aspetti sintomatologici di natura comportamentale (esternalizzante), affettiva, cognitiva, interpersonale e somatica, oltre a quelli tradizionali del PTSD così come veniva descritto dal DSM-IV. Inoltre l’introduzione del sottotipo dissociativo di PTSD rimanda a origini più antiche del trauma originario, verso epoche precoci e infantili, in cui con significativa frequenza si reperiscono episodi o situazioni di abuso o di trascuratezza, in grado di lasciare nel soggetto una fondamentale impronta di vulnerabilità che si esprimerà più probabilmente nella forma difensiva della dissociazione. L’allargamento del campo al “lì e allora” delle dinamiche familiari e dei meccanismi evolutivi è reso evidente dal raggruppamento nel DSM-5 dei “Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti” in un unico capitolo, nel quale, in un’ottica più dimensionale rispetto alle precedenti edizioni del Manuale, trovano spazio i disturbi post-traumatici infantili come i disturbi dell’adattamento. È dunque nella direzione di una nozione più ampia e complessa di trauma che si muove la nosografia, recependo le istanze inclusive della letteratura clinico-scientifica.
Ovviamente il libro della Taylor si rivolge a terapeuti e pazienti che si occupano o soffrono di disturbi di tipo Complex, nei quali si invera la lezione freudiana del trauma in due tempi, dell’après coup e della coazione a ripetere. Il contesto culturale della terapia della Gestalt, che pure include la psicoanalisi, si fonda sui “tre pilastri”: fenomenologia, teoria del campo e dialogo. La prima viene intesa in una dimensione osservativa, più che interpretativa, rispetto alle percezioni e al senso dell’esperienza soggettiva dell’individuo, e già in essa è implicita una compartecipazione della coppia terapeutica al processo di studio e di conoscenza del mondo interno del paziente. Il campo rappresenta il luogo privilegiato per l’espressione della circolarità dell’interazione terapeuta-paziente, e l’origine della relazione in un ambiente affettivo, sociale e culturale. Il campo è qui inteso nel senso di Lewin come spazio vitale costituito dalla persona e dal suo ambiente, permeabile al mondo esterno, in grado di nutrire e sostenere o comunque influenzare gli individui e le relazioni che si collocano entro i suoi confini e che ne risultano pertanto dipendenti. Infine il dialogo, che rinvia, in accordo con la filosofia di Buber, alla dimensione profonda dell’incontro interumano. Anche Gadamer intende il dialogo come possibilità di comprendere l’altro attraverso una condivisione di significati. Lo strumento del dialogo presuppone l’intenzione di capire e la capacità di formulare domande e di lasciarsi interrogare.
Osservazione partecipata, relazione, dialogo: questo l’imprescindibile sfondo su cui si gioca la terapia del trauma, sempre tesa a ricostruire una interrotta rete di significati e di affetti, a restituire un senso, a ripristinare legami, a testimoniare una vicinanza. La Taylor sottolinea, parlando del corpo traumatizzato, un’altra drammatica conseguenza del trauma complesso: la vulnerabilità somatica, in particolare come esito dei traumatismi infantili precoci e ripetuti. E afferma: «È nella sua corporeità che la vittima rimane più esposta al trauma, tanto che molti pazienti esperiscono il corpo come la causa del loro disagio». Questo riferimento al corpo ha importanti risvolti terapeutici, dal momento che esso reca inscritto su o dentro di sé la violazione di un’integrità e la sua reazione, fisiologica all’inizio, finisce per diventare, nell’ostinato tentativo di guarire dal trauma, disfunzionale o patologica. Dunque il lavoro gestaltico sui processi corporei è centrale con il paziente traumatizzato, e la consapevolezza del soma e le tecniche per implementarla divengono imperativi metodologici nella formazione dei terapeuti.
L’altro versante, spesso disatteso nella clinica del trauma, è quello delle alterazioni relazionali. Le vittime di traumi spesso perdono il senso della fiducia negli altri e la capacità di intimità nei rapporti, finendo per isolarsi e rinunciando a comunicare. L’altro sarà sempre un potenziale abusatore di cui diffidare nella misura in cui possiede rilevanza interpersonale e pregnanza affettiva. Quindi stabilire un clima d’incontro rassicurante e positivo diviene il principale obiettivo dell’aggancio terapeutico e non a caso la Taylor intitola la terza parte del libro “Un’appartenenza relazionale per il trauma”, approfondendo, proprio in ultimo, la questione della trasformazione delle ferite relazionali, dell’elaborazione, riparazione e integrazione delle stesse attraverso modificazioni profonde del sistema di attaccamento. Il cambiamento che si può ottenere in un paziente traumatizzato non può darsi per scontato a prescindere dalle strategie terapeutiche adottate e l’autrice si sofferma sulla necessità di ripensare i modelli teorici del processo di cambiamento in soggetti molto disregolati e sempre a rischio di ri-traumatizzazione. Comunque il cambiamento non può che avvenire entro il contenitore relazionale e, come sostiene la Taylor, «proprio questa enfasi sulla relazione e sull’intersoggettività sta sempre più avvicinando la Gestalt ad altri approcci di origine più psicodinamica».
In effetti i referenti concettuali esplicitamente citati dall’autrice appartengono almeno parzialmente all’area della psicoterapia dinamica e integrata: dalla psicoterapia senso-motoria di Pat Ogden e collaboratori alla neurobiologia interpersonale di Daniel Siegel, alla psicoanalisi relazionale di Philip Bromberg. Ancora una volta si coglie, nella tensione olistica della Gestalt, l’attenzione alle dinamiche del corpo e a quelle delle relazioni, in un approccio alle alterazioni post-traumatiche non tanto dell’Io, ma del Sé, soggetto relazionale privilegiato e deputato al rapporto con gli altri così come con il corpo. Il Sé è dunque mente diffusa, incarnata, ponte verso il mondo esterno e interno, sede di dissociazioni più profonde e pericolose che non quelle della coscienza (scissione mente-corpo, distacco relazionale). Come si è visto, dai suoi confini bisogna partire per tentare di curare o addirittura guarire (healing) il trauma. Ecco dunque che la psicoterapia del trauma si configura come un’integrazione dei molteplici livelli di scissione (dalla frammentazione alla dissociazione): «I pazienti traumatizzati hanno bisogno di riorganizzare la loro esperienza frammentata, dissociata e implicita in una gestalt coerente e unificata». In questa dichiarazione assiomatica la Taylor propone, nella terapia, il primato della forma sul caos, del senso sull’enigma perturbante, dell’unità rassicurante sulla minaccia di disseminazione, della coscienza di sé sull’autonomia implicita dei Sé multipli. Vengono in mente il funzionamento subconscio dei nuclei dissociati delle idee di Janet e, ovviamente, il freudiano inconscio rimosso.
Oltre alla prospettiva relazionale, un altro dei capisaldi della teoria della Gestalt è la dialettica o dinamica figura/sfondo. Afferma la curatrice di questo volume, Margherita Spagnuolo Lobb (2015, p. 28), che «il sé è un processo continuo in cui creazione e destrutturazione si susseguono nella formazione di figure e sfondi» e che la cura dello sfondo esperienziale contempla il necessario cambiamento di contesto nella psicoterapia. Del tutto in sintonia con la sua curatrice, la Taylor applica tale concetto all’area del traumatico: «allargando il campo esperienziale ad aspetti aggiuntivi che nel tempo sono stati negati o resi poco accessibili, la figura traumatica viene contenuta in un ambito meno ristretto, riducendo di fatto l’intensità della figura stessa». È dunque nel cambiamento del rapporto tra l’oggetto patogeno (il trauma) e l’ambiente soggettivo della vittima, inclusi i condizionamenti sociali e culturali, che si colloca la possibilità di curare. L’ovvia conseguenza di ciò è che il supporto sociale, il sostegno del gruppo di appartenenza, le reti di assistenza, che sono i tradizionali punti di forza del trattamento di pazienti acutamente e violentemente traumatizzati, traggono la loro vis sanatrixda questo cambiamento di rapporto.
Con tali premesse, il libro di Miriam Taylor rappresenta un contributo fondamentale alla terapia del trauma. Scritto dalla prospettiva della psicoterapia della Gestalt, il libro integra le più rilevanti ricerche e teorie contemporanee e i più recenti modelli di lavoro con il trauma. Si tratta di un’opera molto ben strutturata: un’ottima risorsa sia per gli psicoterapeuti che per gli allievi. Mi ha particolarmente colpito la fluidità con cui l’autrice ha saputo integrare modelli teorici complessi con esplorazioni e illustrazioni della pratica clinica. A ben considerare, laddove la complessità dei modelli concettuali riflette la complessità dello statuto e dell’azione del trauma nel suo impatto con un organismo vivente, la mano sicura e felice della gestione terapeutica riflette la sapienza accumulata della pratica clinica che si avvale, com’è giusto, non solo degli apporti teorici, ma anche e soprattutto della formazione sul campo e del saper essere del terapeuta. In questo senso l’opera della Taylor esprime una vicinanza alla sofferenza della persona traumatizzata, che, nello studio dei casi e nelle vignette cliniche, si evince dagli sforzi di comprensione del mondo del paziente, dai movimenti empatici e controtransferali, dalle più profonde sensazioni corporee e viscerali associate alle emozioni del terapeuta. Non a caso un importante capitolo è dedicato alle buone risorse di cui dovrebbe essere dotato un terapeuta chiamato a rapportarsi con un paziente traumatizzato.
Un’ultima notazione riguarda lo stile del libro, che riesce a coniugare con successo la complessità della materia trattata con la semplicità didattica ed esplicativa. L’autrice attira l’interesse del lettore anche mediante l’intercalare nel testo di suggerimenti esperienziali e spunti di riflessione che lo impegnano ad immergersi nel vivo delle situazioni, per l’appunto quale presenza incarnata nel corpo testuale. Ne deriva un ritmo vivace, fresco, godibile e fruibile, elemento alquanto raro nel panorama delle trattazioni di psicoterapia.
Non resta dunque che augurare una buona lettura!
Luigi Janiri
Direttore della Scuola di Specializzazione di Psichiatria
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma