Definizione Confluenza

In inglese Confluence
Dal latino confluĕre, composto da cum=con, insieme e fluĕre=scorrere.

“L’atto di percepire con i sensi l’oggetto percepito, un’intenzione e la sua realizzazione, una persona e un’altra, sono tutti confluenti quando non esiste tra di essi un confine notevole, quando non c’è nessuna discriminazione dei punti di diversità o unicità che li distinguono.

Senza questo senso di confine – questo senso di qualcos’altro da notare, da avvicinare, manipolare, godere – non vi può essere nessuna emergenza e nessuno sviluppo del processo figura-sfondo, donde nessuna consapevolezza, nessuna eccitazione, nessun contatto” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, p. 392).

Nella recente prospettiva dello sviluppo polifonico dei domini, teorizzato da Margherita Spagnuolo Lobb, la modalità di contatto della confluenza, “la capacità di percepire e fare contatto con l’ambiente come se non ci fossero confini, né differenziazioni fra l’organismo e l’ambiente” (Spagnuolo Lobb, 2012, p. 42) è considerata un dominio, “definito in psicoterapia della Gestalt come un’area di processi e competenze per il contatto, che appartiene allo sfondo dell’esperienza, e che è pronto a diventare figura in certi momenti, e ad interagire con altre capacità, o domini. […] si riferisce a competenze chiaramente differenziate, che hanno uno sviluppo proprio durante tutto l’arco della vita, e che interagiscono reciprocamente dando origine all’armonia (potremmo anche dire alla gestalt) della competenza attuale della persona” (ibidem, p. 34).

“Questa abilità è alla base dell’empatia ed è una qualità naturale, che oggi nelle neuroscienze viene chiamata empatia incarnata (vedi Gallese et al., 2006). […] [Secondo] la prospettiva estetica della psicoterapia della Gestalt: la presenza piena e naturale del bambino, con tutti i sensi aperti al confine di contatto, gli garantisce un’intuizione dell’altro, anche se vi è una scarsa percezione della differenziazione al confine. Il concetto gestaltico di confluenza spiega bene l’intuizione che esiste fra madre e bambino (e che possibilmente permane negli adulti) come sensibilità verso ciò che c’è nell’ambiente, o, per usare un termine fenomenologico, una sensibilità verso un’“evidenza naturale” (cfr. Blankenburg, 1998). Questo dominio rimane e può essere sviluppato per tutta la vita. Il rischio legato all’esperienza desensibilizzata di questo dominio è la follia: una percezione senza chiarezza e – azzarderei – senza respiro” (ibidem, pp. 42-43).

“Per evitare l’ansia, ciò che [si] fa è stabilire un contatto attraverso stili di interruzione o resistenza alla spontaneità, come la confluenza: l’eccitazione non si sviluppa perché il processo di differenziazione dell’organismo dall’ambiente non inizia nemmeno” (Spagnuolo Lobb, 2011, pp. 84-85).

“La confluenza è un fantasma inseguito da coloro che vogliono ridurre le differenze in modo da moderare l’esperienza sconvolgente del nuovo e dell’altro. E’ una misura palliativa per mezzo della quale si stabilisce un accordo superficiale, un contratto per non scuotere la barca. Il buon contatto, dall’altra parte, anche nelle unioni più profonde, contiene il senso più alto e profondo dell’altro. Uno dei problemi relativi alla confluenza è naturalmente il fatto che essa è una fragile base per le relazioni. Proprio come due corpi non possono mai occupare lo stesso spazio nello stesso tempo, due individui non possono mai pensarla allo stesso modo. Se è cosi difficile per due individui raggiungere la confluenza, è anche più inutile lottare per ottenere la confluenza nella famiglia, nelle organizzazioni, o nella società.[…] Due indizi per le relazioni confluenti disturbate sono i sensi di colpa frequenti e il rancore” (Polster e Polster, 1986, pp.88-90).

“La confluenza è malsana solo quando viene sostenuta come un mezzo per prevenire il contatto. Dopo che il contatto è stato raggiunto e vissuto, la confluenza acquista un significato completamente diverso” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, p. 392).

Bibliografia

Blankenburg W. (1998). La perdita dell’evidenza naturale, Milano: Raffaello Cortina Editore.
Gallese V., Migone P., Eagle M.N. (2006). La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane, XL, 3: 543-580.

Perls F., Hefferline R.F., Goodman P. (1997). Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, Roma: Astrolabio.

Polster E., Polster M., (1986). Terapia della Gestalt integrata. Profili di teoria e pratica, Milano: Giuffrè editore.

Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, Milano: Franco Angeli.

Spagnuolo Lobb M. (2012). Lo sviluppo polifonico dei domini. Verso una prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt, Quaderni di Gestalt vol. XXV n. 2012/2, Milano: Franco Angeli.

Hanno contribuito alla redazione della voce:
Resp. di redazione – Silvia Tinaglia
Collaboratori (in ordine cronologico) – Susanna Marotta, Federica Falzone, Antonella Montalbano